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Karate-do: 10 elementi del kata (1)

Da Stefano Bresciani @senseistefano
Data: 15 gennaio 2014  Autore: Stefano Bresciani

10-elementi-del-kataEcco il primo dei 10 elementi del Kata per gli amanti del Karate-do e in generale del Budo. Cominciamo la rassegna settimanale con “yio no kisin” tradotto in genere con “stato mentale”.

Nella lingua giapponese ideogrammi differenti possono avere esattamente la stessa pronuncia, mentre un singolo ideogramma può avere pronunce diverse.

II termine karate ne è un eccellente esempio: TE significa mano, ma ci sono due ideogrammi completamente differenti che si pronunciano entrambi KARA; uno significa VUOTO, l’altro è il carattere cinese che si riferisce alla dinastia T’ang e può essere tradotto CINESE.

La paternità cinese del Tode era evidente; il nome stesso lo stava ad indicare. I giapponesi non potevano però permettere, in un periodo di continue tensioni e scontri con la Cina, come quello degli anni trenta, che un prodotto cinese fosse utilizzato come incomparabile disciplina di combattimento. Per questo motivo ed anche perché il Tode aveva acquisito caratteristiche molto diverse da quelle dell’antica arte del pugilato cinese, nel 1931 il maestro Funakoshi ne trasformò il nome in KARATE; facendo uso del carattere VUOTO piuttosto che del carattere CINESE.

Il termine KARA ha un doppio significato:

  • VUOTO riferito alle mani, cioè disarmate
  • VUOTO riferito allo stato mentale del praticante che deve “svuotarsi” da ogni vanità e da tutti i desideri terreni.

Negli scritti buddisti si trovano affermazioni come “shiki-soku-zeku” e “kosoku-zeshiki” che significano, “la materia è vuota” e “tutto è vacuità”.

Il carattere KU che compare in entrambe le ammonizioni e che può essere pronunciato KARA veniva così interpretato da Funakoshi:

Come la superficie lucida di uno specchio riflette tutto ciò che le sta davanti
e una valle silenziosa riporta ogni più piccolo suono,
così chi si accinge a praticare il karate
deve rendere il proprio spirito vuoto da ogni egoismo e malvagità
in uno sforzo per reagire convenientemente dinnanzi a tutto ciò che può incontrare.

Questo a mio opinabile avviso è ciò si può evincere dallo stato di “yio no kisin”, quello stato mentale di “vuoto” in cui il karateka deve calarsi prima di eseguire un kata. Mani disarmate e soprattutto svuotare la propria mente da vanità e quindi dal proprio ego. Difficile da mettere in pratica in una competizione sportiva, questo primo elemento di un kata introduce nell’essenza tra il fare karate-do e fare semplicemente karate…

Sei d’accordo con me o invece pensi sia possibile eseguire un kata in gara senza pensare all’apparire bravi, eleganti, forti, tecnicamente migliori di altri karateka?

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avatarIl Mio Profilo TwitterIl mio profilo FacebookIl mio profilo Google+Il mio profilo FlickrIl mio canale YouTube Nato e residente a Leno (BS) studio e pratico arti marziali dal 1994. Ho iniziato col Karate ma dopo aver insegnato per alcuni anni e ottenuto la cintura nera 3° dan ho dovuto abbandonare a causa di problemi fisici e non solo... Ho intrapreso la pratica dell'Aikido nel 2003 per stare meglio con il corpo e dopo aver superato l'esame di 2° dan ho avviato l'insegnamento nella Bushidokai ShinGiTai, associazione che ho fondato nel 2009 in qualità di Presidente. Dopo aver ricevuto il 1° livello Reiki nel 2005 ho iniziato a praticare Tai Chi, Iaido (ora cintura nera) e meditazione (Zen è la mia preferita), applicando con successo l'energia vitale in qualsiasi attività lavorativa (geometra è il mio impiego principale) e relazionale (sono felicemente sposato e padre di due splendide bimbe). Ho scritto il libro "105 modi per conoscere l'Oriente" e una trilogia di ebook sul benessere con la Bruno editore. avatarIl Mio Profilo TwitterIl mio profilo FacebookIl mio profilo Google+Il mio profilo FlickrIl mio canale YouTube
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