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Kardamena

Creato il 30 agosto 2010 da Pim

Kardamena Le case antiche e strette, con le facciate bianche illuminate di sbieco dalla luce dei lampioni, rendono il lungomare una via lattea in miniatura. Corse e schiamazzi di bimbi, gruppetti di adolescenti troppo spavaldi per essere sobri, ragazze inglesi che messaggiano ondeggiando le schiene nude, coppiette accoccolate nei bar - bibita o gelato, non importa. L'aria leggera porta con sé un odore salmastro, poco lontano la risacca mormora qualcosa sugli scogli.

Davanti alla taverna una brigata chiassosa, tavoli con resti di pesce, tovaglioli spiegazzati, bicchieri ancora da svuotare. In mezzo a questa confusione di volti e mani e musica e svolazzare di grembiuli, vedo un uomo e una donna seduti davanti a una bottiglia piena per metà, immobili, come statue al confine di un pianeta separato. La barba bianca di lui prolunga il candore dei capelli arrivando sino al ventre, lievemente tondo; indossa un abito scuro, sguardo nell'ombra, affondato in pensieri che gli immobilizzano gli arti. Di fronte, la donna porta un basco inclinato sui capelli ancora più immacolati e folti di quelli dell'uomo. Porta un vestito color deserto, una collana di perle adagiata sul décolleté, su cui spiccano occhi trasparenti, certamente non di questa terra. Il viso è liscio, incredibilmente liscio, insensibile agli anni che devono essere così tanti da aver smesso di scorrere.

Sono loro due, una macchia pallida e una opaca, che sembrano a quel tavolo dall'inizio dell’inizio del mondo. Muti, eppure, tramite qualche procedimento misterioso, in reciproca comunicazione. Quel genere di comunicazione che non si serve più di gesti né di parole: una specie di tensione, di oscillazione che si trasmette su lunghezze d’onda troppo elevate per essere percepite da noi mortali. Sono loro due, corpi inerti, presenti soltanto a se stessi. E la vita che torna indietro, con il bagliore delle lampade che sembra quello a gas di giorni remoti, col lungomare deserto di voci e motori, per non turbare un momento che, fatti altri due passi, sembra il ricordo di un altro ricordo.

(Luglio 2010)

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