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Kaze tachinu (風立ちぬ Si alza il vento). Regia: Miyazaki Hayao. Soggetto: Miyazaki Hayao. Sceneggiatura: Miyazaki Hayao. Produttore: Hoshino Koji. Musiche: Joe Hisaishi. Durata: 126 min. Uscita in Giappone: 20 luglio 2013.
Link: recensione di Matteo Boscarol su Sonatine.
Vicenda liberamente tratta dalla vita di Horikoshi Jirō – già illustrata dallo stesso Miyazaki in un manga nel 2009 e tratta dal romanzo omonimo di Hori Tatsuo del 1936 – progettista aeronautico che realizzò, fra gli altri suoi modelli, il celebre Mitsubishi A6M, impiegato dalla Marina Imperiale giapponese durante la Seconda Guerra Mondiale e utilizzato anche in numerose incursioni dei kamikaze. Il film ripercorre le tappe di vita del protagonista, soffermandosi sui cruciali avvenimenti che la segnarono particolarmente, come la forte miopia di cui soffriva che lo indusse a diventare un ingegnere invece che un pilota di caccia, l’incontro in sogno con il progettista Giovanni Battista Caproni e quello nella vita vera con la bella Hanako, conosciuta durante il grande Terremoto del Kantō del 1923 e divenuta in seguito il grande e tragico amore della sua vita.
Presentato in concorso alla 70ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia del 2013, Si alza il vento segna l’addio di Miyazaki Hayao al mondo dell’animazione. Il lungo percorso artistico del maestro giapponese - mezzo secolo di successi ottenuti con sacrificio e dedizione – si arresta qui, ma, come ultimo capitolo di questo percorso, Miyazaki sceglie di non mettere più al centro pupazzi giganti, streghe o gatti volanti, bensì una vicenda incentrata su un personaggio storico e alquanto controverso, come testimoniano le numerose polemiche all’indomani dell’uscita del film. Il soggetto “con i piedi per terra” contribuisce non poco a fare di questo lavoro una sorta di grande ossimoro rispetto alla tematica preponderante del volo o comunque rispetto alla pressante e inevitabile cifra stilistica del maestro che, in un modo o nell’altro, sgomita all’interno di ogni sequenza. Non mancano quindi tutti quegli elementi (perlopiù autobiografici) che hanno contraddistinto e definito negli anni la filmografia di Miyazaki, come il volo (appena citato e in questo film assolutamente centrale), la malattia, la guerra e i tipici personaggi miyazakiani, semplici, puri nella loro coerenza e animati da ideali supremi da perseguire con dedizione. A tornare è anche la compenetrazione tra elemento onirico e realtà, qui più esplicita ed evidente rispetto alle sequenze memorabili viste in Il mio vicino Totoro (Tonari no Tororo, 1989) o Porco Rosso (Kurenai no Buta, 1992) ma che riserva comunque suggestioni forti - come nel caso della rappresentazione iperbolica del terremoto che fa incontrare i due protagonisti, durante la quale il terreno sembra respirare come un essere vivente risvegliatosi da un lungo sonno. Tuttavia il film non decolla, arenato com’è nella palude di tecnicismi aeronautici che lo appesantiscono e con i suoi macro capitoli con al centro il protagonista (gli aerei e la loro progettazione; l’elemento onirico fatto di dialoghi con Giovanni Battista Caproni; la struggente storia d’amore con Nahoko) chiusi in compartimenti stagni e trattati praticamente uno alla volta senza quasi interazioni reciproche. Si alza il vento diventa quindi una sorta di testamento, un congedo solenne con il quale Miyazaki saluta i suoi fan, accompagnato da un pesante velo di tristezza. Una tristezza che però non sembra derivare da un comprensibile sentimento di malinconia, bensì da una sorta di consapevolezza acquisita con l’età e che non sembra lasciare molti spiragli di luce. Perché la storia di Norikoshi è quella di un ragazzo che insegue il suo grande sogno senza mai arrendersi, riuscendo infine a dargli una forma, ovvero quell’aereo così veloce e perfettamente bilanciato, lo stesso che tuttavia contribuirà largamente all’uccisione di uno svariato numero di persone negli anni della guerra, un fattore che, lo si voglia o no, ridimensiona largamente lo spirito dell’opera. Viene spontaneo allora chiedersi perché Miyazaki abbia scelto proprio questo film per congedarsi, quanto in esso ci sia della sua vita passata e soprattutto quanto della disillusione che si respira lungo tutta la vicenda - a dispetto del frastornante «Le vent se lève!... il faut tenter de vivre» ripetuto come un mantra - gli appartenga, alla luce del nuovo percorso che lo attende. Cinquant’anni volati via come un soffio di vento, talmente veloci da sembrare un sogno. E credo che il maestro si sia reso conto che arriva per tutti il momento del risveglio. [Giorgio Mazzola]
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