Qualche tempo fa sono capitata su un sito dove ho letto un articolo intitolato “150 cose che spaventano le persone più intelligenti del mondo”. Non chiedetemi come ci sia finita ma, incuriosita, lessi tutto l’articolo con crescente meraviglia. Praticamente – come riportato dall’articolo – ogni anno il magazine Edge fa una singola domanda a personalità del mondo delle scienze e mette a confronto le risposte. La domanda questa volta era: “Di cosa dovremmo preoccuparci?”.
Ecco ora, a parte invasioni aliene, l’iperconnessione quotidiana e l’esaurimento dei finanziamenti per la scienza, una “paura” mi ha colpito più di tutte: “Il fatto che internet sta danneggiando la scrittura” (David Gelernter, scienziato informatico di Yale).
Mi sono soffermata a lungo sul timore del signor Gelernter. Internet danneggia la scrittura. Ma ancora non riesco a capire che cosa intendesse per “danneggiare”…
Internet e la scrittura: un connubio che, già dal web 1.0 (e a maggior ragione nel 2.0) risulta imprescindibile. Per chi non lo sapesse, il web 2.0 è quello fatto di blog, forum e community in cui la gente può “scrivere”, cioè scambiare opinioni attraverso messaggi di testo, immagini, filmati o altro. Ora, in questo caso, può anche essere vero che un’immagine valga più di cento parole, ma la scrittura per il web è importantissima. Anzi, è proprio grazie al web che si è tornati a scrivere!
Sì, lo so che “internet” e “web” non sono la stessa cosa, ma la scrittura della gente comune si manifesta nel web. Ed è questa che, secondo Gelernter (cognome impronunciabile per me), si sta danneggiando.
Perché si sta danneggiando? Grazie al web si scrive di più! Si scrive male? Non siamo più come Victor Hugo o Jane Austen? Ma Hugo e la Austen scrivevano “bene” per il loro tempo? Forse Daniel Defoe ha letto e riletto i suoi “novel” prima di pubblicarli? (Neanche per idea!) E quindi?
Fate un paragone tra uno “storytelling” che trovate su Abattoir e un romanzo di un autore tipo Marcello Simoni che pubblica libri dal 2011, e quindi autore contemporaneo al web 2.0 dei nostri giorni. Cosa noterete? Ben poca differenza! Simoni, nonostante scriva libri stampati e non testi su Internet, non è che scriva meglio di uno dei nostri autori… (Non me ne voglia signor Simoni ma non riesco a leggere, in un romanzo, l’articolo davanti ai nomi propri).
È opinione di sociologi e linguisti che ci dovrebbe essere una differenza tra la scrittura letteraria e la scrittura quotidiana (per noi, quindi, quella del web). Ma questa differenza si sta assottigliano: c’è una convergenza verso il centro tra le varianti “alte” e quelle “basse” della lingua. L’Italiano standard ormai non lo parla più nessuno (se mai qualcuno l’abbia parlato!). La nostra lingua, sia essa usata per parlare, scrivere o insultare, è in continuo mutamento.
Come dice il buon vecchio Umberto Eco “lasciamo fare agli italiani ciò che vogliono con la loro lingua” (intimando ai letterati di mantenere un registro un po’ più standard, a mo’ di modello).
Quindi quella del web, che non è una scrittura “aulica”, è in continuo mutamento. E forse è proprio il cambiamento che spaventa il professore di Yale. Un cambiamento che “danneggia” la scrittura. Ma questo “danneggiare” non è forse sinonimo di “evolversi”?
La questione è molto più articolata di quella che state leggendo perché si dovrebbe parlare della CMC, dei vari tipi di “scrittura”, dei vari tipi di testi e dei mezzi per divulgare tali testi (una mail è differente da un post che è differente da una chat). La neoepistolarità tecnologica ha dato vita a quello che alcuni linguisti chiamano addirittura la “lingua di Internet” come se esistesse un linguaggio a parte e come se questo tipo di “codice” non prescindesse dall’informalità cui tende la lingua italiana oggi. Questa tendenza indica che la scrittura del web sia più orale che scritta. In questo caso l’ortografia risulta sempre più una formalità. Nella scrittura del web c’è una tendenza a riprodurre la catena parlata.
Se in un post o in un commento su facebook trovate scritto “ke” al posto di “che” non lamentatevi! Non è la scrittura dei bimbiminkia! Potrebbe essere un modo di velocizzare la digitazione. Ma non solo: è sintomo dell’accostamento tra fonetica e scrittura. Pronunciando “che” viene fuori “ke”: perché non semplificarlo!? Forme di semplificazione sono non solo lecite ma vitali per la scrittura del web (e qui sì che si dovrebbe distinguere per quali fini si scrive: scrivere una lettera d’amore è diverso dallo scrivere la lista della spesa da appendere al frigo – checché ne dicano i Marta sui Tubi!).
Ma torniamo all’articolo che ho letto: non essendo per niente d’accordo con l’idea di un “danneggiamento” della scrittura, sono giunta alla conclusione che il signor Gelernter, essendo uno scienziato informatico, non poteva che riferirsi alla “scrittura informatica”, quella fatta di 0 e 1! Tié! Perché se così non fosse il professore sarebbe davvero di vedute strette!
P.s. Sappiate che io sono totalmente a favore del “ke” al posto di “che”! Per questo mi sono sentita chiedere “che te ne fai del tempo che risparmi digitando una lettera in meno?”. Ecco l’ho impiegato per scrivere questo post :P!
P.p.s. Questo post è un esempio di scrittura per il web: un miscuglio di oralità e scientificità! Se ci sono errori sintattici è perché parlando non ce ne rendiamo conto ma scrivendo possiamo rileggere e controllare, ma una scrittura che tende all’oralità riporta il discorso come se fosse orale. Tipo quello che sto facendo adesso. Insomma: è un casino! Dovremmo tutti, dunque, evitare di fare i professoroni su Facebook!