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Keep Moving: i graffi hard rock di Andrew Stockdale

Creato il 05 novembre 2013 da Postscriptum

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Il vigore dei Seventies torna di prepotenza sulla scena musicale grazie a Andrew Stockdale.Il nome di questo artista non risulta del tutto nuovo..e infatti è la voce e la chitarra del progetto Wolfmother.

In Keep Moving, il ragazzo decide di restare fedele alla strada già intrapresa con il suo gruppo; ma, pur rifancendosi alla nostalgica epoca d’oro del rock, riesce a non diventare un vuoto clone dei mostri sacri del passato.

Nonostante ciò e nonostante il suo indiscusso talento , le troppe tracce che compongono questo album, rendono tutto il lavoro un po’ dispersivo e l’ascoltatore fa fatica a concentrarsi sui vari spunti che arrichiscono l’insieme.

In questa sua prima opera da solista, c’è la passione a fare da sottofondo comune a tutti i brani; il vintage rock viene in questo modo rielaborato ed immerso nella contemporaneità.Keep moving si muove tra echi di Led Zeppelin e Black Sabbath, a volte baciati dai Beatles, con un pizzico di Doors.Ma le influenze non finiscono di certo qui: spaziando in questo vasto mondo, Stockdale scrive i vari capitoli che compongono il suo cammino nel tanto amato sound.

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Restando sempre coerente e fedele a se stesso e al suo stile, ci fa respirare l’autentico blues miscelato all’hard rock (come nel pezzo “Keep Moving” presente nella colonna sonora del film Iron Man 3 – Heroes Fall – Music inspired by the motion picture) oppure la psichedelia ipnotica e serpeggiante di “Vicarious”.

Non mancano i groove adrenalinici, le atmosfere grezze ed istintive. Tutti elementi che ci danno l’idea delle varie sfaccettature che si alternano e che, senza fronzoli, arrivano dirette all’orecchio dell’ascoltatore.

Nella prima parte, l’album è pervaso di riff potenti e aggressivi. Per esempio “Meridian” e “Ghetto” si possono a tutti gli effetti annoverare come i due brani più stoner. Hanno un incedere ossessivo e trascinante, creano un’atmosfera distorta, lasciandoci quasi sospesi in un ambiente “dirty”.

Subito dietro le chitarre nervose, si cela quel momento di folk acustico e sognante della ballad beatlesiana “Suitcase (One more time)”.

La pregiata fattura, gli arrangiamenti di classe e ben curati fanno intendere che Stockdale abbia acquisito una certa maturità artistica. E, se è vero che un musicista mette sempre se stesso nei suoi lavori, si può dedurre che Andrew abbia un’indole sanguigna ed eclettica.In che altro modo si potrebbe spiegare il suo trasformismo? Il suo passaggio da un brano come “She’s a Motorhead” ai tre brani finali (“Country”, “Black Swan” e “Everyday Drone”), grazie a cui il sound si abbassa di tono, diventando calmo.

Sembrava la degna conclusione e invece no..

It occurred to me” ribadisce (semmai ce ne fosse bisogno) che delle due anime che si intrecciano in lui, prevale quella più inquieta e accattivante che si è manifesta nei riff semplici e diretti, nel turbinio irruento di suoni e strumenti.

In “Long way to go” (primo singolo che apre “Keep Moving”) è lo stesso artista australiano a dirci come la pensa: “Long way to go tratta il tema delle aspettative degli altri.Parlo di quando la gente ti classifica e categorizza. Non spetta agli altri dirti in che modo i tuoi sogni vadano soddisfatti. Sta a te seguire il tuo cuore e far sì che le cose accadano. Qualunque cosa gli altri pensino che tu sia in grado di fare o meno, non sta a loro decidere, ma solo all’individuo. E se qualcuno pensa che io sia finito, beh, hey ho ancora davanti a me una lunga strada da percorrere..”


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