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Link: Sito ufficiale - Mark Schilling (Japan Times) - Nicholas Vroman (a page of madness) - Maggie Lee (Variety)Punteggio ★★★
Machiko e Kazu sono due giovani in fuga. Lei è una ballerina di lap dance a Kabukicho, lui un gangster in erba. Scappano dalle ire di altri malavitosi, a causa dei debiti di gioco del ragazzo. Approdano a Shingu, nella prefettura di Wakayama, città natale di Kazu (e di Nakagami Kenji, al cui romanzo è ispirato il film), ma anche qui la loro situazione non migliora: i genitori di lui non li accolgono a braccia aperte, anzi, il padre è palesemente ostile. Kazu ritrova gli sbandati amici d’infanzia, e inizia a lavorare facendo le consegne per lo zio, che ha un negozio. L’unica che sembra essere dalla parte della coppia è un’anziana, proprietaria di un locale, che era a suo tempo l’amante del nonno di Kazu. Andrà ancora peggio dal momento in cui Kazu si troverà invischiato con un delinquente locale con il quale ha un debito di denaro, fino ad un prevedibile epilogo tragico. I primi minuti del film sono da urlo. Un crescendo d’ansia: le inquadrature d’apertura propongono una caffetteria nella quale Kazu discute con un altro uomo, la macchina da presa si stringe sui volti, per poi passare ai dettagli di un corpo, quello (splendido) di Machiko, che balla in un locale semibuio; Kazu arriva nel locale, la cui oscurità è inframmezzata da fonti di luce disperse in un mare di buio nel quale il ragazzo si muove come un animale affamato. Lento, i muscoli in tensione. La musica cresce, l’alternarsi delle immagini lui/lei diventa più veloce, sempre di più, e poi esplode: nel locale irrompono uomini con mazze e distruggono ciò che incontrano, fragore di vetri e bottiglie che si frantumano, botti. Nella rissa Kazu picchia e sembra che danzi.Poi raggiunge Machiko nel camerino e la trascina di corsa via con sé. Quando arrivano nel parcheggio la macchina da presa è lontana e si avvicina ai due molto, molto lentamente. Ecco. Ritmo, uso della luce, violenza e sensualità dei movimenti. Una tale intensità mi ha fatto perdonare il calo di tensione successivo.Chiaro rimando ad À bout de souffle di Godard nel proporre l’eterno fascino di una coppia di anime allo sbando, The Egoistssi trasforma poi, nel momento in cui l’azione si sposta dalla città, in un dramma familiare, farcito di vecchi rancori. La fuga dei due viene bloccata dalle catene del passato, che siano la famiglia, le vecchie amicizie, il proprio ruolo di riferimento dal quale non sembra possibile affrancarsi.Hiroki Ryūichi viene dal mondo del pinku, ma è autore anche, tra gli altri, di Vibrator, del 2003 o dello splendido It’s Only Talk, del 2005. In The Egoists mette a nudo non solo corpi, ma anche dolorosi sentimenti: Suzuki Anne mi è sembrata brava nell’impersonare una donna innamorata e perduta. Penso ai tanti appassionati primi piani che il regista dedica alla sua attrice, alla sequenza in cui i due ragazzi discutono sotto una pioggia torrenziale in un’alternanza di volti rigati dalle lacrime e dall’acqua; al viso, di Machiko, illuminato dal basso dalla luce di un jukebox, sul quale Kazu ha appena abusato di lei con violenza e disperazione. Vero che da un certo momento in poi ci si annoia un po’, il film sembra trascinarsi e ripetere uno schema che, si sa, porterà al prevedibile finale. Peccato, un’occasione (parzialmente) sprecata: da simili personaggi, costruiti con pochi tratti decisi fin dall’inizio, si poteva sperare di più. Gli appassionati di storie strappabudella di amanti belli quanto dannati (nel cui gruppo serenamente mi inserisco) ne trarranno comunque qualche momento di godimento. [Claudia Bertolè]
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