Kenneth White, nato a Glasgow nel 1936, pubblica i suoi primi libri di poesia a Londra, poi incomincia a viaggiare; per otto anni si tiene lontano dalle case editrici, si ferma a vivere nei Pirenei. Dagli anni '70 riprende a pubblicare in francese, e solo più di recente anche in inglese. Incontra il jazzista Steve Lacy, che metterà in musica molte delle sue opere. La sua bibliografia comprende Letters from Gourgounel (1966), L’Esprit nomade (1987), Travels in the Drifting Dawn (1989), Le Plateau de l’Albatros (1994), On Scottish Ground: Selected Essays (1998), Limites et marges (2000), Across the Territories (2004). Nel 1989, ha fondato L’Istituto Internazionale di Geopoetica, dove si concretizza il lavoro di esplorazione della natura in chiave poetica. Nel 2010, ha cominciato l'anno rompendosi una gamba a causa di un fenomeno raro per l'Armorica, la pluie verglaçant, la pioggia che resta liquida anche a una temperatura inferiore allo zero, e che ghiaccia solo a contatto con un oggetto.
White incominciò a scrivere i suoi “Way-Book” alla fine degli anni '80, scritti inclassificabili da parte della critica, privi di trama e di qualsiasi tipo di limite o di “obbligo”, dicendosi poco interessato non solo all'intreccio, alla storia, ma anche alla scrittura di viaggio tout court. Le suggestioni e le premesse da cui muove lo sguardo in movimento di White sono la geologia, la botanica, l'oceanologia, molto più dei romanzi e della poesia, quest'ultima legata com'è a dimensioni mentali e ideologiche, oltre che all'ossessione dell'io, dei suoi problemi, dei suoi fantasmi. Tutto poggia sulla dimensione dello spazio e del silenzio, dimensione necessaria per dire qualcosa di significativo, di radicale: il silenzio della contemplazione, il silenzio del pensiero. Lo sforzo si muove in una direzione senza nome, che convenzionalmente è da indicare come geopoetica. I principali way-book, La Route Bleue (1983) e The Wild Swans (1990), nascono da uno studio specifico e approfondito di un territorio, che sia in grado di offrire nuove prospettive ai sensi e alla mente, che metta in moto un processo di ricerca, e fanno da pendolo tra sedentarietà e nomadismo, tra aree abitate e deserte, rifiutando impostazioni aprioristiche e “monosistema”. Il collante che tiene insieme osservazione, riflessione e scrittura è rappresentato dal camminare. White esplora lo spazio e, più che appropriarsene, procede in esso attraverso il cammino per metterne in relazione le parti.
In Italia, nonostante abbia vinto il Premio Grinzane – Biamonti, Kenneth White è rimasto, fino a oggi, autore per pochi, pubblicato unicamente dalla casa editrice Amos, che ha annunciato per l'estate l'uscita de I cigni selvatici. Il libro rappresenta il frutto di un lungo soggiorno in Giappone, maturato a lungo nelle sue intenzioni come pellegrinaggio geopoetico: «un omaggio alle cose giapponesi (cose preziose e precarie) e un viaggio haiku sulla scia di Basho, un documentario sognante di strade e isole, un tuffo veloce ed ellittico nel Vuoto». Punto di partenza Tokyo, movimento verso Nord, per raggiungere Hokkaido. Così il poeta incomincia a camminare per Tokyo in «modo febbrile», dall'immenso quartiere dei libri di Gimbocho fino alle zone della città in cui visse il grande poeta viaggiatore Basho. Senza dimenticare però Santoka, prete camminatore zen autore di haiku. White riempie il suo zaino a volte con salmone e alghe secche e qualche birra Sapporo, percorre le strade che lo porteranno alla meta, alternando il cammino con spostamenti in treno o in auto, fino a Hokkaido, dove giungono i cigni siberiani che danno il titolo al libro. E la narrazione del movimento e della visione è proteso tra racconto ed espressione poetica, e le parole rievocano il suono visibile delle cose: la montagna sacra degli Ainu, le foglie rosse in autunno, l'acqua che scorre sotto un ponte, la neve, il blu brillante del Pacifico, un faro a Nagoya.
White giunge a destinazione, al lago dove si radunano i bianchi e maestosi uccelli migratori e scrive:
Sul lago vuoto
questa mattina del mondo
i cigni selvatici.