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Kiss day in books: 4 baci da sogno

Creato il 06 luglio 2015 da Anncleire @anncleire

Lo sapete che anche se cerco di negarlo sono una romantica, una di quelle che va in brodo di giuggiole per una romance fatta bene, e lo so, lo so, c’è sempre qualcuno che si lamenta della mia ossessione per le romance. Ma sono un’addicted, e come tutti gli addicted che si rispettano potevo mai lasciarmi scappare l’occasione di festeggiare il “KISS DAY”? No ovviamente, e visto che con questo caldo produrre una recensione diventa difficile, e sto vegetando come un albero da frutta rinsecchito, sudando come un maialino, eccomi che sono qui ad infuocare ancora di più questa giornata con quattro baci librosi super speciale. Axel & Eloise (secondo voi potevo lasciarmi scappare l’occasione per nominare il mio adorato Princeps di Aldenor?) eh? *Virginia De Winter forever* La spillatrice, e chi ha letto di Chiara e Leonardo sa già di cosa sto parlando, perché la mente di Mirya è super perversa. La prima notte di nozze più imperdibile di sempre con il nostro adorato Jamie *sospira* e Claire. E per concludere… una scoppiettante scena tra Warner & Juliette… eh già anche se sono #TeamAdam non posso non riconosce che la Mafi ha creato la perfezione. Enjoy miei adorati!

NB: Se non avete letto i libri, beh… inutile dire che si tratta di SPOILER… ma in questo caso sono inevitabili! XD

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L'istante successivo non esisteva più alcuna strada o persona, non esisteva distanza, soltanto l'affondare il viso nei pizzi morbidi sul suo petto e le dita di una mano sul suo braccio, mentre quelle dell'altra sfioravano, incredule, la chiave d'oro appesa al suo collo.

Poi la mano di Axel fu sulla sua schiena e l'altra si posò al lato del viso per costringerla con gentile fermezza a sollevarlo verso il suo.

«I miei privilegi, signora, non avete possibilità di negarmeli oggi». Il suo respiro la baciò ancora prima delle sue labbra.

Non era più inverno, ma estate, un principio di luglio soleggiato e fresco. C'era il sole che entrava a nastri dalle finestre alte come quel e di una cattedrale, riflessi così larghi e luminosi da sbiancare l'aria, e il profumo della farina fine che li impolverava rendendoli nitidi al punto di poterli toccare.

Il profumo amato del e mandorle e mele rosse che le cadevano dalle mani rotolando fino ai suoi piedi, la lama del coltello che tintinnava contro la pietra del pavimento e l'odore del e giunchiglie, improvviso, dissetante.

Mille petali che le toccavano il viso, mentre le braccia di Axel, cariche di quei fiori, si aprivano per accoglierla. «Li ho raccolti lungo la strada, per te. Non sopportavo più di non vederti. Ogni fiore è per espiare un'ora in cui ti sono stato lontano».

Rideva e quel sole gli danzava tra i capelli e gli spargeva il viso d'oro, i fiori cadevano ai loro piedi mentre lei, senza una parola, gli stringeva le braccia intorno alla vita. Una mattina intera passata nel profumo dei biscotti soltanto per ingannare il tempo, disegnando ghirigori distratti sulla farina che ricopriva i ripiani delle grandi cucine del castello di Aldenor, mentre tentava di immaginare che cosa stesse facendo lui, lontano nei boschi, a caccia. Fiori e farina dappertutto mentre i suoi pensieri si protendevano per toccarlo prima ancora che le mani riuscissero a raggiungersi.

La passione di quel ‘abbraccio era come il sole cocente, avvolgeva e toglieva le forze, riempiva tutto di una luce troppo intensa per poterla sopportare. Poi quell'attimo di vuoto completo nel a testa, che terminava nel momento in cui abbassando il viso lui aveva trovato la sua bocca. Il sapore che conosceva da tutta la vita, anche se era la prima volta che lo assaggiava. L'ultimo velo che cadeva, la promessa mantenuta dal e loro mani sempre intrecciate e dai loro occhi che si cercavano sempre; da quelle notti abbracciati sotto le lenzuola mentre la neve cadeva in silenzio, fin da quando erano ancora troppo piccoli per pensare di poter dividere altro che non fosse il sonno e i sogni. Fino al momento di abbandonare del tutto l'infanzia per dare a quelle emozioni il nome che loro spettava.

Fiori dappertutto, impigliati sulle sue gonne, tra i loro piedi, le sue mani sporche di farina sul volto di Axel e tra i suoi capelli.

Polvere impalpabile e delicata che galleggiava nell'aria intorno, minuscoli frammenti di candore nella luce. Braccia che la serravano e le sue che lo stringevano con una forza che non aveva sospettato nemmeno di possedere, fino a quel momento. La realtà era una giornata di dicembre, una miriade di minuscoli petali bianchi che le cadevano sul viso morbidi come seta, la dolcezza dolorosa del ritrovarsi nell'esatto istante in cui si erano perduti, la stessa sofferenza.

La bocca che si muoveva sulla sua, la testa imprigionata nella curva di un braccio che la teneva e

sorreggeva, le dita sul suo volto. Quando fu semplicemente troppo, si scostò da lui, gli occhi ancora chiusi, le ciglia bagnate e il respiro che faticava a tornare.

«Almeno questa volta non siamo ricoperti di farina dalla testa ai piedi».

Un nodo alla gola e il respiro che si arrestava di nuovo. «Axel». Alzò ancora il viso, gli occhi chiusi e ciechi di lacrime, per baciare il sorriso e il ricordo che gli aveva sentito nelle parole, identiche ai suoi pensieri.

La mano di lui si allargò sulla nuca, stringendosi la sua testa tra la spalla e il collo, la feroce tenerezza con cui la imprigionava contro di sé avrebbe annullato ogni suo tentativo di allontanarsi.

«Sono qui».

Se lei avesse avuto il minimo desiderio di muovere solo un passo o bisogno di tirare un altro respiro o avere un altro battito di cuore.

Va bene così, anche se il mondo dovesse finire adesso.

L’ordine della Spada (Black Friars #1) – Virginia De Winter

 

 


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La spillatrice.

Questa era la sensazione che avrebbe accompagnato sempre in lei il ricordo di quel loro primo vero bacio. La spillatrice su cui era seduta e che le premeva fastidiosamente sotto la natica. Non sapeva se lui l’avesse baciata intenzionalmente, trovandosela così vicina e malleabile, o se l’incontro delle

loro bocche fosse stato uno di quei casi che non si sa se benedire o maledire. Che tra di loro ci fosse attrazione era ormai innegabile, tuttavia sembrava che lei fosse l’unica davvero in balia di quelle sensazioni, mentre lui le padroneggiava con sicurezza, forse perché più abituato a gestire le donne e la loro fisicità, forse perché non interessato a lei in modo più profondo. E tuttavia il modo in cui si era gettato su di lei un certo grado di profondità, perlomeno nella gola di Chiara, lo aveva già raggiunto.

Quando aveva sentito le loro labbra sfiorarsi lei aveva fatto per ritrarsi, ma Leonardo gliel’aveva impedito trattenendola con una mano sulla nuca e traendola più vicina, mentre emetteva un rumore lugubre che risuonava come un lamento soffocato. C’era qualcosa che aveva a che fare con la sofferenza, nel modo in cui l’aveva baciata e la stava baciando, e d’improvviso, tra la sua lingua e la

spillatrice nel sedere, Chiara pensò che forse era proprio quello, quel qualcosa che non quadrava. Sembrava sempre che Leonardo soffrisse, vicino a lei, di una pena che lei gli aveva causato inavvertitamente durante il loro primo incontro o forse anche prima, e da cui lui stava primo incontro o forse anche prima, e da cui lui stava cercando di liberarsi, distanziandola.

Ed era stato questo a farle abbandonare ogni resistenza e aprire le labbra in un invito caldo e accogliente. Quella resa aveva strappato a Leonardo un altro flebile suono, come se fosse proprio ciò che gli faceva più male, si era staccato un secondo, fissandola con occhi arrabbiati, e poi si era tuffato nuovamente su di lei, approfondendo il bacio. Con mani forti si era insinuato sotto le sue ascelle, l’aveva sollevata e posata sulla scrivania con un gesto solo, le aveva impugnato le ginocchia, allargandole le cosce per introdurvisi in mezzo, ed ora i loro corpi sfregavano l’uno contro l’altro in sincrono con l’incastro dei loro denti, trasportandola in un universo parallelo di cui lui sembrava l’unico portale di accesso.

Di nuovo quel sapore le era entrato nel ventre, di nuovo quel profumo si era sparso sulla sua pelle, e Chiara si era ritrovata distesa su una spiaggia troppo assolata, i piedi bagnati da un mare troppo azzurro, i capelli smossi da un vento troppo caldo. E una spillatrice nel sedere.

Non era così, che andavano i baci nelle storie, non c’era quel pungolo nei glutei della protagonista, non c’era la lampada da tavolo che traballava pericolosamente dietro ai loro movimenti, non c’era quel raggio di luce che entrava dalla finestra e la infastidiva anche attraverso le palpebre chiuse, non c’era il cozzare un po’ goffo dei loro nasi che non riuscivano ad evitarsi.

Non erano così, i baci di carta. Non erano così, i suoi sogni. Non erano così belli.

Perché tutto, in quel momento, era assolutamente secondario rispetto alla lingua di Leonardo che la

esplorava e la lambiva e la succhiava come se avesse sete e fame di lei da tempo immemorabile; tutto, in quel momento, era assolutamente secondario rispetto alle mani di lui che le arpionavano le gambe, le stringevano i fianchi, le perlustravano la schiena, come se volessero impugnarla tutta e simultaneamente; ma nello stesso tempo tutto, in quel momento, era di primaria importanza, perché avrebbe reso per sempre quel bacio vero e vivido nella testa di Chiara, a forza di spillatrici e lampade e raggi di luce e nasi, trasformando un sogno di carta in un bacio di carne, in un bacio che sarebbe stato sempre e solo suo, e non di qualunque lettrice e sognatrice.

Il primo vero bacio che riceveva da Leonardo.

Con una spillatrice nel sedere.

 

Di Carne e di Carta – Mirya

 

 


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“Adesso ti aiuto io,” proposi, consapevole che non aveva senso continuare a rimandare. Gli sbottonai la camicia e infilai le mani sotto la stoffa, facendole scorrere sulle spalle e sul petto. Jamie rimase immobile, quasi senza respirare, mentre mi chinavo a slacciargli la cintura.

Se deve essere, che sia adesso, pensai, e feci scivolare le mani lungo le sue cosce. Anche se ormai sapevo molto bene che cosa indossano gli scozzesi sotto il kilt, e cioè niente, fu una specie di choc trovare solo Jamie.

Lui mi fece rimettere in piedi e si chinò verso di me. Mi baciò, e intanto le sue mani frugavano attorno alla vita e scioglievano il legaccio della sottogonna, che cadde a terra lasciandomi con la sola sottoveste.

“Dove hai imparato a baciare così?” chiesi, con l’affanno. Lui sorrise e mi trasse ancora a sé.

“Ho detto che sono vergine, non che sono un monaco.” Mi baciò ancora. “Se ho bisogno di istruzioni, te le chiederò.”

Mi premette contro di lui e scoprii che era più che pronto per ciò che doveva fare. Con un po’ di sorpresa, mi accorsi che anch’io lo ero. Infatti, che fosse il risultato della tarda ora, del vino, della sua prestanza o della semplice astinenza, lo desideravo immensamente.

Gli sfilai la camicia e gli feci scorrere di nuovo le mani sul petto, stuzzicandogli i capezzoli con i pollici.

Mi trasse a sé con forza, e io emisi un piccolo grido soffocato, rimanendo senza fiato. Mi lasciò andare, scusandosi.

“No, non ti preoccupare, baciami ancora,” lo rassicurai. Mi baciò e intanto mi sfilò le spalline della sottoveste. Si tirò indietro e mi prese il seno con le mani, strofinandomi i capezzoli come avevo fatto con lui. Annaspai alla ricerca della spilla che reggeva il kilt. Jamie mi aiutò e la spilla si aprì.

All’improvviso mi sollevò fra le braccia e si sedette sul letto, tenendomi in grembo. Quando parlò, aveva la voce rauca.

“Dimmi se sono troppo rude, o se vuoi che mi fermi del tutto, prima che ci uniamo. Dopo, non credo di riuscire a fermarmi.”

Per tutta risposta, gli misi le mani dietro il collo e lo feci distendere sopra di me, guidandolo fino alla fessura morbida e umida fra le mie gambe.

“Santo Dio!” esclamò James Fraser, che non pronunciava mai il nome di Dio invano.

“Adesso non fermarti,” gli dissi.

Rimanemmo distesi uno accanto all’altra. Avevo la testa appoggiata sul suo petto e lui me la carezzava, piano. “È stato come ti aspettavi che fosse?” gli chiesi, e lo sentii ridacchiare.

“Quasi. Pensavo… no, non importa.”

“No, dimmelo. Che cosa pensavi?”

“Non te lo dico, o riderai di me.”

“Ti prometto di non ridere. Dimmelo.”

Mi accarezzò i capelli, lisciandomi i riccioli sulle orecchie.

“Va bene. Ecco, non sapevo che si facesse a faccia a faccia. Pensavo che si facesse di dietro, come i cavalli.”

Feci fatica a mantenere la promessa, ma riuscii a non ridere.

“So che può sembrare stupido, ma sai com’è… ti fai delle idee quando sei giovane, e poi ti rimangono appiccicate.”

“Non hai mai visto nessuno fare l’amore?” Pensavo che per un bambino scozzese, a quei tempi, non fosse difficile vedere i genitori che si accoppiavano, considerato che di solito dormivano tutti assieme in una stanza.

“Sì, ma sotto le coperte. Riuscivo solo a capire che l’uomo stava sopra. Questo lo sapevo.”

“Ho notato.”

“Ti ho schiacciata?” chiese, in ansia.

“Non tanto. Ma, davvero, è questo che pensavi?” Non ridevo, ma non potevo fare a meno di sorridere, e gli si imporporarono le orecchie.

“Sì. Una volta ho visto un uomo prendere una donna, all’aperto. Ma quello… be’, era uno stupro, e l’aveva presa da dietro. Mi aveva fatto una certa impressione, e mi è rimasta l’idea che si facesse così.”

Continuò a tenermi stretta a sé, e le sue carezze si fecero via via più intime e audaci.

“Ti è piaciuto?” domandò all’improvviso con un po’ di timidezza.

“Sì.” Era vero.

 

La Straniera (Outlander #1) – Diana Gabaldon

 

 


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“I want so many things,” he whispers. “I want your mind. Your strength. I want to be worth your time.” His fingers graze the hem of my top and he says “I want this up.” He tugs on the waist of my pants and says “I want these down.” He touches the tips of his fingers to the sides of my body and says, “I want to feel your skin on fire. I want to feel your heart racing next to mine and I want to know it’s racing because of me, because you want me. Because you never,” he says, he breathes, “never want me to stop. I want every second. Every inch of you. I want all of it.”

And I drop dead, all over the floor.

“Juliette.”

I can’t understand why I can still hear him speaking because I’m dead, I’m already dead, I’ve died over and over and over again

He swallows, hard, his chest heaving, his words a breathless, shaky whisper when he says “I’m so—I’m so desperately in love with you—”

I’m rooted to the ground, spinning while standing, dizzy in my blood and in my bones and I’m breathing like I’m the first human who’s ever learned to fly, like I’ve been inhaling the kind of oxygen only found in the clouds and I’m trying but I don’t know how to keep my body from reacting to him, to his words, to the ache in his voice.

He touches my cheek.

Soft, so soft, like he’s not sure if I’m real, like he’s afraid if he gets too close I’ll just oh, look she’s gone, she’s just disappeared. His 4 fingers graze the side of my face, slowly, so slowly before they slip behind my head, caught in that in-between spot just above my neck. His thumb brushes the apple of my cheek.

He keeps looking at me, looking into my eyes for help, for guidance, for some sign of a protest like he’s so sure I’m going to start screaming or crying or running away but I won’t. I don’t think I could even if I wanted to because I don’t want to. I want to stay here. Right here. I want to be paralyzed by this moment.

He moves closer, just an inch. His free hand reaches up to cup the other side of my face.

He’s holding me like I’m made of feathers.

He’s holding my face and looking at his own hands like he can’t believe he’s caught this bird who’s always so desperate to fly away. His hands are shaking, just a little bit, just enough for me to feel the slight tremble against my skin. Gone is the boy with the guns and the skeletons in his closet. These hands holding me have never held a weapon. These hands have never touched death. These hands are perfect and kind and tender.

And he leans in, so carefully. Breathing and not breathing and hearts beating between us and he’s so close, he’s so close and I can’t feel my legs anymore. I can’t feel my fingers or the cold or the emptiness of this room because all I feel is him, everywhere, filling everything and he whispers

“Please.”

He says “Please don’t shoot me for this.”

And he kisses me.

His lips are softer than anything I’ve ever known, soft like a first snowfall, like biting into cotton candy, like melting and floating and being weightless in water. It’s sweet, it’s so effortlessly sweet.

And then it changes.

“Oh God—”

He kisses me again, this time stronger, desperate, like he has to have me, like he’s dying to memorize the feel of my lips against his own. The taste of him is making me crazy; he’s all heat and desire and peppermint and I want more. I’ve just begun reeling him in, pulling him into me when he breaks away.

He’s breathing like he’s lost his mind and he’s looking at me like something has broken inside of him, like he’s woken up to find that his nightmares were just that, that they never existed, that it was all just a bad dream that felt far too real but now he’s awake and he’s safe and everything is going to be okay and

I’m falling.

I’m falling apart and into his heart and I’m a disaster.

He’s searching me, searching my eyes for something, for yeses or nos or maybe a cue to keep going and all I want is to drown in him. I want him to kiss me until I collapse in his arms, until I’ve left my bones behind and floated up into a new space that is entirely our own.

No words.

Just his lips.

Again.

Deep and urgent like he can’t afford to take his time anymore, like there’s so much he wants to feel and there aren’t enough years to experience it all. His hands travel the length of my back, learning every curve of my figure and he’s kissing my neck, my throat, the slope of my shoulders and his breaths come harder, faster, his hands suddenly threaded in my hair and I’m spinning, I’m dizzy, I’m moving and reaching up behind his neck and clinging to him and it’s ice-cold heat, it’s an ache that attacks every cell in my body. It’s a wanting so desperate, a need so exquisite that it rivals everything, every happy moment I ever thought I knew.

I’m against the wall.

He’s kissing me like the world is rolling right off a cliff, like he’s trying to hang on and he’s decided to hold on to me, like he’s starving for life and love and he’s never known it could ever feel this good to be close to someone. Like it’s the first time he’s ever felt anything but hunger and he doesn’t know how to pace himself, doesn’t know how to eat in small bites, doesn’t know how to do anything anything anything in moderation.

My pants fall to the floor and his hands are responsible.

I’m in his arms in my underwear and a tank top that’s doing little to keep me decent and he pulls back just to look at me, to drink in the sight of me and he’s saying “you’re so beautiful” he’s saying “you’re so unbelievably beautiful” and he pulls me into his arms again and he picks me up, he carries me to my bed and suddenly I’m resting against my pillows and he’s straddling my hips and his shirt is no longer on his body and I have no idea where it went. All I know is that I’m looking up and into his eyes and I’m thinking there isn’t a single thing I would change about this moment.

He has a hundred thousand million kisses and he’s giving them all to me.

Unravel me (Shatter me #2) – Tahereh Mafi


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