Dal buco del lavello una donna tira via un innocuo capello…
Non vogliamo sapere né come né perché la mano che sta dietro a Kitchen Sink(1989), corticino fieramente periferico, sia poi andata in futuro ad immischiarsi in prodotti sfacciatissimi (televisivi, avete pensato bene) quali sono serial del calibro di Sex and the City o The L Word, preferiamo immaginarci soltanto una Alison Maclean, canadese figlia di neozelandesi, che a trentuno anni se ne va timidamente a Cannes con sotto il braccio una pizza contenente quello che era a tutti gli effetti il secondo lavoro della sua carriera. I giurati di quell’edizione non riconobbero alcun merito al film della Maclean ma, come si suol dire, non è mai troppo tardi e oggidì a premiare Kitchen Sink potete pensarci tranquillamente voi perché è una robetta che vale e a cui non chiederete indietro i tredici minuti che vi sono serviti per vederla.
Da un soggetto che avrebbe potuto far scivolare tutto nel caciaresco bidone dei b-movie 80’s, ne esce invece fuori un agglomerato di psico-suggestioni con annessa mostro-manifestazione che attinge, rispettivamente, all’atmosfera malata dei primi cortometraggi di Lynch e a un body horror meets Tsukamoto; tali modelli (alti) restano ovviamente lontani, tuttavia la cosa non inficia il “piacere” che si prova durante la visione, un piacere sottilmente scomodo che ha nella non-letteralità il punto di forza: la possibilità di significare l’essere venuto dal lavandino è hip hip urrà per nulla monointerpretativa e ad anche quella più pensabile, ovvero che la creatura sia una specie di versione reincarnata o resuscitata di un eventuale marito/amato passato a miglior vita (d’altronde il dettaglio della fotografia che ritrae la donna insieme ad un altro uomo deve avere un senso. O forse no?), non appare il fine che la regista voleva raggiungere ad ogni costo; tutt’altro: è un film come questo, decisamente imperfetto e poverello, che strisciando sotto l’epidermide ha l’abilità di operare nell’ordine delle impressioni e di colonizzare felpatamente il nostro immaginario, tanto che d’ora in poi guarderemo con un certo sospetto i peli che orbitano attorno il foro del lavabo.Bello il tema musicale.