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Komikazen 2012: Davide Reviati e il buio dei ricordi

Creato il 12 ottobre 2012 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

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, classe 1966, non inizia la sua carriera di autore di fumetti sull’impronta del realismo. 

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“Morti di sonno” racconta la vita delle famiglie degli operai nel villaggio Anic. Quali difficoltà hai incontrato nel delineare questo microcosmo?
Difficoltà di diversa natura, prima di tutto quelle che nascevano dal fatto di essere molto coinvolto nella storia, di aver vissuto in prima persona quei luoghi, di averne respirato il clima e le atmosfere. Questo mi rendeva poco obiettivo e soprattutto condizionato dal timore di allontanarmi troppo da un resoconto fedele dei fatti, da una presunta veridicità di cronaca, per così dire, che non ha nulla a che fare con la verità più profonda di una storia. Dalla luce di questa verità, che non so definire meglio, bisognava farsi accompagnare durante tutto il percorso, spesso molto buio; e non aver paura di tradire la realtà del contingente, in nome di uno scopo che mi sembrava più importante.

Quali sono a tuo parere gli ingredienti per fornire una sorta di ritratto generazionale, che prescinda dalle esperienze dei singoli?
Io non prescindo mai dalle esperienze dei singoli, direi che è il mio interesse principale. E forse è proprio attraverso quelle che si può trovare uno sguardo più ampio; un piccolo microcosmo può emanare un’eco universale. Per me è questo l’unico modo di affrontare le cose.

- Ritieni fondamentale che lettori e critici diano esattamente la stessa interpretazione che tu intendevi fornir loro di determinati passaggi?

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Ci mancherebbe altro, buona la seconda. Una volta finita l’opera non ti appartiene più, è di chi la legge. Anzi, spesso attraverso le libere interpretazioni personali degli altri scopro cose a cui non avevo pensato, che gettano una luce diversa sul lavoro, facendolo rivivere di nuovo anche ai miei occhi. Questa è una cosa impagabile e me ne guardo bene dal rifiutarla.
Per di più gli autori sono spesso i meno adatti a interpretare le proprie opere, ogni tanto ci si cade, per carità, a volte la tentazione di ostentare intelligenza diventa troppo forte, ma si tratta solo di una debolezza, spero perdonabile.

Credi sia necessaria una certa identificazione tra lettore e protagonista? E come è possibile crearla in contesti così specifici e a tratti “asfissianti” come in “Morti di sonno”?
Non so quanto sia possibile questa identificazione in “Morti di sonno”, non ho lavorato per ottenerla, ma se qualcuno l’ha provata non mi dispiace affatto, anzi. Magari è un fatto che aiuta la fortuna di un’opera, ma per quanto mi riguarda non lo ritengo ‘necessario’. Più che di identificazione col protagonista, che di solito nasconde un mal celato narcisismo, parlerei di una forte empatia. Per l’altro da sé, le sue contraddizioni e le sue debolezze, per un luogo, per un albero, per un’idea. Attraverso questa empatia, che mi sembra più ‘sana’, mi piacerebbe che il lettore scivolasse in un coinvolgimento crescente con le vicende raccontate.

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Spesso gli autori di fumetti realistici, a dispetto di trame notevolmente verosimili, utilizzano disegni stilizzati, semplici,

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Non lo so, è semplicemente lo specchio di me in quel momento. Il segno nervoso in “Morti di sonno” riflette la mia ansia e la mia impazienza di quel periodo in cui lavoravo al libro e non sapevo quasi mai cosa sarebbe successo il giorno dopo.
Amo disegnare e non voglio rinunciare a questa gioia per sdrammatizzare o caricare o altro. Forse per questo non scelgo a tavolino il segno da usare per una storia o l’altra, il disegno, come la sua funzionalità, deve venire da sé in corso d’opera, senza che la ragione ne detti le regole e la legittimità. Solo così riesco a preservare la cosa più importante per me: il divertimento.

Se dovessi ideare un nuovo fumetto, di stringente attualità, su cosa ti concentreresti?
Come sempre, su ciò che amo.

 

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