Alessandro Tota è nato a Bari nel 1982. Diplomato in pittura all’Accademia di Belle Arti di Bologna, vive e lavora a Parigi. È tra i fondatori della rivista “Canicola” (Prix Bd Alternative, Festival del fumetto di Angouleme 2007). Ha pubblicato su numerose riviste, tra le quali “Hamelin”, “Lo Straniero”, “Orang”, “Black”, “Internazionale”, “Repubblica XL”. Per Coconino Press sono usciti il lungo racconto “Fratelli” nel volume Gli Intrusi e il graphic novel Yeti, pubblicato anche in Francia. Suoi lavori sono stati esposti in mostre a Bologna, Napoli, Milano, Helsinki, Parigi, Amburgo.
Caterina Sansone è nata a Firenze nel 1981 ha studiato a Bologna, dove si è laureata con una tesi sul lavoro della fotografa americana Francesca Woodman. Dopo un’esperienza al dipartimento digitale della Magnum Photo Agency di Parigi e alcuni mesi come assistende della fotografa olandese Ilse Frech, lavora come fotografa freelance e assistente di Abbas and Patrick Zachmann (Magnum Photos) and Giampiero Assumma. Since September 2006 Caterina lives and works in Paris.
Quali sono state le difficoltà nel raccontare una storia familiare? In Palacinche, mischiate tavole a fumetto e fotografia. L’operazione è abbastanza originale per il fumetto italiano, dove semmai la fotografia viene utilizzata come documentazione e non viene riportata nel fumetto finito. Altrove, però, avete il grande modello di Guibert. L’avete tenuto presente? Pensate vi abbia facilitato nel proporre un progetto di questo tipo? Perché, come autori, avete pensato che Palacinche potesse funzionare meglio unendo le fotografie al fumetto? Una delle cose che più mi ha spiazzato durante la lettura del fumetto è stata la vostra decisione di ripercorrere il viaggio di Elena a ritroso, da Napoli a Trieste. Perché avete fatto questa scelta? Etichette associate: Puoi leggere anche: Condividi:
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Caterina: L’idea del libro è nata semplicemente da un’esigenza personale di raccogliere le memorie della mia famiglia. Questa storia di famiglia, però, mi sembrava potesse interessare anche altri, e non solo con lo scopo di divulgare informazioni su un episodio storico in parte misconosciuto: le storie di immigrazione e esilio sono comuni a ogni epoca ed è spesso cercando nelle proprie radici che si trovano storie e situazioni analoghe a quelle contemporanee.
Raccontare questa storia era per me un modo di dire che il “diverso”, il profugo, è più vicino a noi di quello che crediamo, e anche noi italiani lo siamo stati in passato.
Alessandro: Lavorando sulle interviste la cosa diversa è che hai già tutta la storia e devi occuparti di metterla in scena; il lavoro di invenzione riguarda principalmente la forma e il tono del racconto. Per fare un esempio, del primo capitolo esistono tre versioni, di cui una pubblicata sulla rivista Animals. Ogni versione racconta la stessa cosa ma in un modo diverso. Ho cambiato approccio finché non ho trovato quello giusto.
Alessandro: Non avevamo in mente Guibert, pur conoscendo il suo lavoro. Palacinche nasce da un’idea abbastanza diversa dalla sua: nel Fotografo le foto sono inserite nella griglia del fumetto, invece in Palacinche è il fumetto ad adattarsi al ritmo delle foto, al loro respiro. Non per niente le foto occupano più di metà del volume, sono stampate in grande, anche su doppie pagine. Il fatto è che Palacinche non unisce la fotografia al fumetto, ma il fumetto alla fotografia, è stato fatto il percorso inverso. Il fumetto è stato il linguaggio scelto per raccontare la storia che univa una fotografia all’altra.
Caterina: Esattamente! La griglia di base che abbiamo usato era costituita dalle foto di famiglia di mia madre. Io ho cercato gli stessi posti in cui quelle foto erano state scattate, per fotografarli al giorno d’oggi. Il risultato sono delle foto che documentano soprattutto l’assenza di tracce del passato. Ma quelle tracce meritavano di riemergere, ed è il fumetto a farsi carico di raccontare la storia del nostro viaggio, così come la storia del viaggio della famiglia di mia madre.
Caterina: La scelta ci è sembrata ovvia fin dall’inizio per più ragioni. La prima era che era più logico cominciare il nostro viaggio da Firenze, dove mia madre vive e dove potevamo intervistarla e recuperare documenti e fotografie. In secondo luogo il viaggio che abbiamo compiuto era, in qualche modo, non solo nello spazio, ma anche a ritroso nel tempo, per riscostruire la storia della mia famiglia. Infine, narrativamente, era meglio partire da luoghi e situazioni conosciute per andare poi alla scoperta di luoghi sconosciuti. Un po’ come in una caccia al tesoro o in un libro giallo, si trattava di risolvere un mistero, di trovare delle risposte alle nostre domande iniziali.
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