Da bambino passavo gran parte delle mie vacanze estive in campagna, da mia nonna. Non c’andavo solo io, ma gran parte dei miei cugini, e ce ne stavamo lì in mezzo ad ettari ed ettari di fratte, tra conigli, galline e spesso qualche serpentello che mio nonno catturava con notevole abilità. Li metteva nei barattoli di vetro e noi aspettavamo la loro morte per asfissia per dargli fuoco con l’alcool, tagliuzzarli, lanciarceli addosso o bruciargli gli occhi con una gigante lente d’ingrandimento, sfruttando le leggi di Snell. Io me ne stavo sempre con due miei cugini un pò più grandi, Gino e Regoaro, per i quali avevo un rispetto e una stima insormontabili.
Questo fatto è successo quando avevo all’incirca 10 anni e loro 14, forse 15. In quel periodo c’era una mia cuginetta, sei anni, che aveva preso a giocare in modo parecchio strano. Ogni pomeriggio tagliava carote, patate, pomodori ed altro e li metteva all’interno di una scatola di latta di quelle per il caffè; poi la sera chiudeva quel contenitore, lo lasciava in giardino e se ne andava a casa sua; la mattina dopo, appena tornata, svuotava quel troiaio di vegetali e ricominciava daccapo. Era tipo una settimana che la storia si ripeteva. Faceva i minestroni, diceva. Beata adolescenza campagnola.
Un bel giorno, la mia cuginetta posa il suo lavoro al solito posto, ci saluta e si allontana con sua madre. Io stavo con i miei due idoli seduto lì vicino, su una panchina, lo skateboard sotto i piedi, probabilmente una canottiera comprata in stock da cinquanta a duemila lire al mercato con un Bart Simpson fasullo stampato male sul fronte; si erano fatte le sette e quindi di lì a poco ce ne saremmo andati anche noi.
D’un tratto Rego dice: ‘Dobbiamo fare qualcosa con quel contenitore’
Gino, subito: ‘Si, infatti, bisogna fare uno scherzo prima che con quel coso non ci giochi più’
Io me ne stavo seduto tra loro due, e li guardavo con gioia. Sapevo cosa stava per succedere: stavamo per fare una cazzata. Adoravo fare le cazzate, tipo quando facevamo i palloncini d’acqua colorata e li lanciavamo sui passanti o mettemmo un topo morto nel letto di mia nonna. In realtà succedeva sempre questo: loro formulavano il piano ed io lo eseguivo, prendendomi poi il cazziatone. Qualche anno dopo io salii di grado e questo ruolo passò a mio fratello.
Intanto i miei due cugini si confrontavano tra loro per creare il piano perfetto. L’idea di partenza era quella di metterci qualche cosa dentro. ‘Ma che cosa?’ si chiedeva Regoaro.
In quel preciso istante io mi alzo e dico:
‘Va bene, dai, io ora me ne devo andare a casa sennò mamma si arrabbia, e poi devo anche fare la cacca’
Gli occhi dei miei cugini si ILLUMINARONO. Non c’è bisogno che vi dica dove mi fecero cacare. Tra l’altro non fu neanche semplice, non è facile cacare in una scatoletta.
Il mattino seguente arrivammo da mia nonna tipo alle otto del mattino, non potevamo permetterci di perdere lo spettacolo. Stavamo seduti su quella panchina in pietra fremendo, ridevamo come maiali al solo immaginare la reazione di nostra cugina.Finalmente arriva, bella, sorridente, occhioni azzurri e lunghi capelli biondi a boccoli, un vestitino colorato che svolazzava mentre saltellava verso il giardino; ci saluta da lontano aprendo e chiudendo la mano. Subito dopo apre il gancio e viene sopraffatta da una zaffata di merda che erano 15 ore che se ne stava al caldo in quella scatola chiusa ermeticamente. Non aveva ancora visto cosa c’era dentro, subito dopo ci fa caso.
Noi stavamo lì a bocca aperta, e lei:
‘MA QUA DENTRO CI STA UNA MERDA. UNA MERDAAAAAAAAA’
Dice merda, non cacca o pupù. Dice proprio merda.
Poi scoppia in lacrime, noi piangevamo dalle risate e ci godevamo il momento prima della scontata punizione che ci sarebbe stata inflitta. Ma ne era valsa la pena, cazzo. Mia zia accorre, nota la situazione, va a buttare il contenitore di cacca e ci guarda malissimo, ricordandoci che avrebbe immediatamente chiamato le nostre madri. Mamma si incazzò come forse non è mai più successo, ricordo invece mio padre che rideva cercando di difendere l’indifendibile.
La punizione fu che non potei andare da mia nonna per tre giorni. Che poi voglio dire, che cazzo di punizione è quella di non poter andare a trovare tua nonna ma startene in casa a giocare a Rambo III sul Mega Drive.
Tutto questo per dire che se al posto della mia merda nella scatola c’avessimo messo The paradigm shift le cose sarebbero andate esattamente allo stesso modo.