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L'altro ieri i serbi del nord del Kosovo avevano ignorato la scadenza dell'ultimatum imposto dalla Nato mantenendo i sedici blocchi stradali. Un convoglio di militari francesi della Kfor ha cercato di smantellare le barricate nel villaggio di Jagnjenica, lungo la strada che conduce al valico di Brnjak, nel comune di Zubin Potok. I soldati Nato, in assetto antisommossa, hanno fatto uso di lacrimogeni per disperdere le diverse centinaia di persone che presidiavano il posto di blocco: il bilancio alla fine contata 30 feriti: 22 civili, tre dei quali in maniera piuttosto grave, e otto militari. Ieri, alle prime luci dell'alba, la Nato ha iniziato a smantellare i blocchi stradali. Sia la Kfor, che la missione civile europea Eulex, hanno parlato di successo dell'operazione, ricevendo da Bruxelles il sostegno di Maja Kocijancic, portavoce dell'Alto rappresentante per la politica estera dell'Ue, Catherine Ashton. Anche il premier kosvaro, Hashim Thaci, ha approvato l'intervento militare esortando “i cittadini del Nord alla pace e alla collaborazione”.
Nelle stesse ore il presidente della Repubblica serbo, Boris Tadic, si è rivolto alla Kfor e alla missione civile europea Eulex, invitandoli ad “astenersi dall'uso della forza contro la popolazione”, un appello ribadito anche dal ministro serbo per il Kosovo e Metohia, Goran Bogdanovic, e da quello degli Esteri, Vuk Jeremic. Tadic ha invitato i leader serbi locali a prendere iniziative “che riguardino solo gli interessi vitali dei cittadini (...) non quelli dei loro capi partito che strumentalizzano politicamente la questione in vista delle future elezioni”. La situazione del nord Kosovo sta avendo ripercussioni forti anche a Belgrado, con i partiti nazionalisti dell'opposizione - i radicali del Srs (il partito ultranazionalista di Seselj), i conservatori del Sns di Nikolic (ex numero due del Srs), e il Dss dell'ex premier Kostunica – che hanno abbandonato i lavori parlamentari per protestare contro il rifiuto della maggioranza di inserire nell'agenda dei lavori la questione del Kosovo.
I sindaci dei quattro comuni coinvolti nelle proteste - Kosovska Mitrovica, Leposavic, Zubin Potok e Zvecan - sembrano intenzionati a mantenere la linea dura, anzi ad inasprirla con la richiesta di espulsione di Eulex dai territori a nord del fiume Ibar. A Gracanica, enclave serba alle porte di Pristina, migliaia di persone hanno manifestato la loro solidarietà ai connazionali del nord, mentre nei pressi di Pec, una disputa verbale per questioni legate alla proprietà contesa di una fattoria è purtroppo finita in tragedia con un serbo è stato ucciso e due suoi connazionali feriti dai colpi di arma da fuoco sparati da un albanese. Un atto che il governo di Belgrado, in una nota, ritiene avere un “esplicito obiettivo di pulizia etnica” attribuendolo alle “sintomatiche ripercussioni” della situazione del nord sul resto della popolazione serba kosovara. Sull'episodio, va detto, è intervenuto anche il governo di Pristina che ha condannato il gesto, giudicato “inaccettabile e punibile”, ed esprimendo le condoglianze alla famiglia della vittima.
La situazione, dunque, al momento in cui scrivo questo post, stando a quanto leggo sulle agenzie, è di relativa calma, ma la tensione resta altissima. Appelli alla calma nel nord del Kosovo sono venuti di nuovo oggi sia dalle autorità serbe, sia da quelle kosovare albanesi preoccupate da nuovi scontri che rischiano di far precipitare la situazione in maniera incontrollata con esiti drammatici e sanguinosi, come nelle tragiche giornate del marzo del 2004. [RS]
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