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Dall'Ufficio del governo serbo per il Kosovo, lo stesso giorno e' stato rilasciato un comunicato in cui si dice che la Serbia non riconoscera' mai l'indipendenza e si invita la comunita' internazionale ad accettare la realta': senza l'accordo della Serbia e dei serbi in Kosovo, non ci puo' essere una soluzione giusta e permanente. Senza la condanna di tutti i crimini e dei loro autori non ci puo' essere riconciliazione e progresso. Il comunicato del governo serbo aggiunge che dal 17 febbraio 2008, quando contrariamente alla volonta' del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e nonostante il pieno rifiuto dei serbi in Kosovo, e' stata proclamata la “cosiddetta indipendenza”, fino ad oggi ci sono stati 1015 attacchi contro i serbi: in 51 casi sono state usate armi di fuoco, in 11 esplosivi, in 15 bombe a mano; ci sono stati 25 attacchi contro edifici religiosi serbi, 10 contro edifici culturali e storici; sono state lanciate pietre contro 135 case abitate da serbi e 48 sono stati gli incendi di proprieta' serbe. Si indica inoltre che e' stato attaccato il monastero di Visoki Dečani, che fa parte del patrimonio dell'umanità dell'Unesco, e che nessuno sa il numero esatto dei capi di bestiame, delle automobili e delle macchine agricole sottratti ai loro legittimi proprietari serbi. Nel “cosiddetto Kosovo indipendente”, si legge ancora nel comunicato del governo serbo, per i serbi non ci sono standard europei, la privatizzazione e' stata attuata o viene attuata esclusivamente per gli albanesi, mentre 40.000 richieste serbe per la restituzione dei beni e per il recupero dei danni aspettano invano una risposta. In conclusione, Belgrado afferma che in Kosovo non e' stato istituito uno Stato, bensi' un regime di apartheid in cui per le 1004 vittime serbe sono stati condannati soltanto due responsabili.
Tuttavia, e' la posizione serba, il dialogo con Priština deve continuare e il premier Ivica Dačić ha dichiarato che adesso davanti alla Serbia vi e' la parte piu' difficile del dialogo poiche' deve essere risolta la questione delle istituzioni parallele create dai serbi nel nord del Kosovo. Questo problema puo' essere risolto soltanto con un accordo relativo al modo del funzionamento dei comuni serbi in Kosovo. "Senza questo accordo la Serbia non avra' l'obbligo morale, ne' quello politico di abolire nessuna delle sue istituzioni in Kosovo che comunque sono molto poche", ha detto Dačić ai giornalisti. Qui non si tratta del riconoscimento del Kosovo, come emerge chiaramente dalla “piattaforma” e dalla risoluzione adottate dal Parlamento serbo. L'interesse della Serbia è che il territorio definito dalla Risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza come unitario funzioni in maniera sostenibile, vale a dire che i serbi possano realizzare tutti i loro diritti e questo non e' possibile senza le istituzioni e i propri autogoverni, ha detto Dačić.
Il prossimo round di dialogo tra Belgrado e Priština e' prevvisto per domani (venerdi' 22 febbraio) e questo sara' il quinto incontro tra Dačić e Thaqi. Il premier serbo e capo negoziatore a tal proposito ha dichiarato alla televisione serba che Belgrado non abolira' le sue istituzioni in Kosovo senza un accordo garantito internazionalmente su quello che sostituira' queste istituzioni. Dačić ha precisato che nei colloqui si cerca di definire l'autonomia dei serbi in Kosovo che per Belgrado significa una autonomia nell'autonomia. Si chiede la formazione di un insieme di comuni serbi con competenze chiare: educazione, giustizia di primo e secondo grado, polizia locale che avra' relazioni con le autorita' di Priština ma anche con Belgrado. Dačić ha ammesso che c'e' da chiedersi se Priština accettera' tali richieste.
Lunedi' la presidente della Commissione per gli affari europei del Parlamento francese, Daniel Oroa ha valutato che la Serbia alla fine del suo cammino europeo dovra' comunque riconoscere il Kosovo e che senza questo riconoscimento non potra', nella fase finale, contare con l'adesione all'Ue. In una intervista al quotidiano di Belgrado 'Večernje novosti" la deputata francese ha sottolineato che la Francia in quanto amico tradizionale cerca di aiutare la Serbia nel processo di eurointegrazioni ma per Parigi il riconoscimento reciproco da parte di Belgrado e Priština e' una condizione "sine qua non". "Quello che posso dire e' che appoggiamo molto l'ingresso della Serbia nell'Ue ma per noi francesi, se non ci sara' il riconoscimento, la risposta sara' – no". La parlamentare francese ha rilevato che non ci sara' l'ingresso della Serbia come nemmeno quello del Kosovo finche' non ci sara' una piena riconciliazione e finche' i due paesi non si riconosceranno reciprocamente. Secondo lei, la Serbia in questo momento a tal proposito sta compiendo diversi passi positivi.
[*] Il testo è tratto dalla trascrizione della corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sudest andata in onda oggi a Radio Radicale.
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