di Gaetano Veninata
Rasmush Haradinaj con il padre Hilmi nella tenuta di famiglia
Un “eroe” per i kosovari albanesi. Un “criminale” per i serbi. Un “avversario politico” per Pristina. Quando nell’aprile del 2008 Ramush Haradinaj fece ritorno in patria, ad accoglierlo trovò una gigantografia che lo celebrava come padre della neonata repubblica kosovara (febbraio 2008): dev’essere stato un bel giorno per l’ex comandante dell’Uçk, eletto primo ministro del Kosovo targato Onu subito dopo il conflitto (2004) e costretto a dimettersi dopo soli cento giorni perché accusato dal Tribunale penale internazionale (Tpi) di crimini di guerra e contro l’umanità.
Il primo atto della vicenda processuale si era chiuso bene per lui, con l’assoluzione da tutte le accuse, in un clima di tensione e di intimidazioni ai diversi testimoni. Ma nel 2010, dopo l’appello del procuratore capo Serge Brammertz, il Tribunale ha deciso di ripetere parzialmente il processo contro l’ex premier, spiccando il 19 giugno un secondo mandato di arresto. Il 21 luglio Haradinaj è stato così arrestato di nuovo e trasferito nei Paesi Bassi per ripetere il processo. Secondo il presidente del tribunale Patrick Robinson il processo originale era stato viziato proprio dall’intimidazione dei testimoni, addirittura la morte di alcuni di loro: Tahir Zemaj, ucciso insieme al figlio nel 2002, e Kujtim Berisha, apparentemente per un incidente stradale in Montenegro.
Haradinaj è accusato della morte di almeno quaranta persone, avvenuta nel 1998 nel Kosovo occidentale, quando proprio Haradinaj era il comandante dell’Uçk nella regione. Nella sua arringa, il procuratore capo dell’Aja, Carla Del Ponte, lo ha definito un “gangster in uniforme”: durante il primo processo anche i suoi più stretti collaboratori sono finiti nel mirino del Tpi, sotto accusa per riciclaggio di denaro sporco. La Del Ponte ha ordinato di investigare sull’origine del fondo, del valore di circa dieci milioni di euro, aperto proprio per finanziare la difesa dell’ex premier al processo in Olanda. Ufficialmente il denaro era stato raccolto dai cittadini kosovari.
In relazione alla vicenda le autorità dell’Unmik (la missione internazionale a Pristina) hanno provveduto all’arresto di Jahja Lluka, braccio destro di Haradinaj, la persona che gestiva il fondo in questione: proprio Lluka, secondo le accuse, avrebbe depositato sul conto aperto nella banca Kasabanka centinaia di migliaia di euro, tutti in versamenti inferiori a 10mila euro, limite al di sopra del quale chi deposita è obbligato a specificare l’origine del denaro utilizzato nella transazione. Negli ultimi mesi del 2007, Lluka avrebbe effettuato almeno cinquanta operazioni di questo tipo. Anche il direttore della banca, Milazi Abasi, è stato arrestato.
È una vicenda intricata, che coinvolge l’intera regione balcanica: la Del Ponte ha ordinato infatti di indagare su conti aperti nello stesso istituto in altri paesi della regione, come Serbia e Macedonia. La polizia ha effettuato una perquisizione anche nell’ufficio di Lluka presso la sede dell’Alleanza per il futuro del Kosovo, il partito politico guidato da Haradinaj. Lo stesso Lluka era, al momento dell’arresto, uno dei consiglieri di Agim Ceku, ex capo del governo di Pristina ed ex comandante dell’Uçk (come Haradinaj).
La retata ha però risparmiato gli “uomini ombra” dell’affare “Fondo di difesa Haradinaj”, che potrebbero individuarsi negli stessi personaggi sui quali, nel 2007, si erano concentrate le attenzioni dell’ex funzionario Unmik, James Wasserstrom, poi costretto ad abbandonare il Kosovo con l’accusa di conflitto d’interessi. Il dirigente statunitense, che aveva l’incarico di supervisionare a Pristina il processo di privatizzazione delle pubbliche imprese, avrebbe siglato un contratto di 160mila euro come “special advisor” nell’appalto riguardante l’aeroporto internazionale della capitale kosovara. I pochi mezzi d’informazione che allora seguirono la vicenda si concentrarono sullo scontro che Wasserstrom avrebbe avuto con tre pezzi da novanta dell’amministrazione internazionale in Kosovo, cioè l’ex generale statunitense e vice di Unmik, Steven Schook, il capo dell’ufficio legale dell’Unmik a Pristina, Alexander Borg Olivier, e il rappresentante speciale del Segretario generale dell’Onu, Joachim Rucker. Motivo del contendere, le diverse interpretazioni sui criteri di privatizzazione delle imprese kosovare, che Wasserstrom avrebbe denunciato sotto il controllo dei partiti politici kosovari e in particolare di quello dell’attuale primo ministro Hashim Thaçi, il Partito democratico del Kosovo (Pdk, di ispirazione socialdemocratica).
Ma il nodo reale della questione riguarderebbe proprio la vicenda “Kasabanka” e le indagini che il funzionario dell’Onu stava effettuando sui “suggerimenti” di Rucker, Borg Olivier e Schook a Lluka, al fine di ottenere vantaggi fiscali nella costituzione del “Fondo di difesa Haradinaj”. Da qui al trasferimento immediato (fin dal 2007) di Rucker e Schook la strada è stata breve, e forte il sospetto di una volontà di nascondere i giochi sporchi che parte dell’amministrazione internazionale intratteneva con il governo di Pristina.