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IL MELO
Il melo, addossato alla recinzione dell'orto, allungava i suoi rami sull'angolo meno calpestato del cortile dove l'erba, libera di crescere, formava un verde tappeto. Sedute a terra, sotto la sua ombra, stavano due bimbe. Era quello il loro luogo preferito e, da sempre, il melo aveva assistito ai loro giochi, alle piccole baruffe, alle subitanee riappacificazioni.
Quell'amicizia, nata e cresciuta con loro, le legava di un vincolo fraterno e - ne erano certe - indissolubile.
La più giovane, leggermente più alta della sua compagna, aveva morbidi capelli castani e grandi occhi tristi, di cerbiatta spaurita. L'altra bimba aveva riccioli ribelli, di un caldo colore dorato, e occhi ridenti illuminavano la sua espressione sbarazzina.
Troppo piccole per frequentare la scuola, condividevano giochi, infanzia e mentine di zucchero, mentre il melo, come un benefico nume tutelare, presiedeva le loro giornate. Vestito in primavera di tenui fiori bianco-rosati, vedeva arrivare le sue piccole amiche ebbre di voglia di correre e rotolarsi nell'erba, dopo la forzata segregazione invernale, e le salutava con una pioggia di petali bianchi.
Indossava poi un verde manto, lucido e scuro, fra cui occhieggiavano i grossi pomi avviati a maturazione, ed accoglieva nell'abbraccio della sua ombra le due bimbe accaldate e ansanti, che crollavano sull'erba, stanche di corse e di giochi, offrendo loro il refrigerio dei suoi frutti succosi, anche se ancora asprigni.
In autunno, dopo la raccolta delle mele che finivano accatastate in dispensa, si spogliava lentamente delle foglie ormai brune ed accartocciate, e si rattristava perché sapeva che i rigori dell'inverno l'avrebbero privato della quotidiana presenza delle sue piccole amiche. Fino al ritorno della primavera non sarebbe stata più la sua ombra, ma il calore delle grosse stufe a legna delle rispettive cucine, ad accogliere i giochi delle due bimbe.
La stagione fredda lo trovava con i rami nudi, inutilmente protesi a proteggere la magra erba invernale, e lo adornava di un prezioso abito di brina. Ora il melo riceveva solo qualche fuggevole visita dalle sue protette che, con le ginocchia e le guance arrossate e rese ruvide dal freddo, si affacciavano frettolose alla recinzione che separava i loro cortili, per confidarsi urgenti segreti.
Le stagioni si susseguivano ed il tempo passava anche per le due bimbe, che ora andavano a scuola. Il melo le vedeva passare la mattina presto col grembiulino bianco e la cartella a tracolla e, nella bella stagione, aspettava con impazienza il pomeriggio quando, finiti i compiti lo avrebbero raggiunto per leggere o giocare sotto la sua chioma.
E ancora le stagioni si susseguivano e il tempo passava. Ora sotto il melo sedevano due adolescenti e le confidenze che sottovoce si scambiavano avevano per solo argomento i primi palpiti del cuore, le prime timide simpatie. Per le due amiche era già finito il tempo dei giochi e, non più bambine ma non ancora donne, non era loro permesso indulgere nell'ozio. Perciò, nei momenti che lo studio dell'una e il lavoro dell'altra lo consentivano, sedevano sotto il melo a ricamare, perché a quei tempi, in campagna, c'era l'uso che le ragazze iniziassero molto presto a prepararsi il corredo. Intente al loro ricamo, sognavano di un futuro roseo e felice. Il vecchio melo, muto custode di quei sogni, trepidava per loro, perché sapeva che la vita non mantiene mai ciò che sembra promettere nell'età lieve dell'adolescenza.
Con il passar del tempo non erano mutate le caratteristiche fisiche delle due ragazze: agile e flessuosa, la più giovane era ancora la più alta, e i lunghi capelli castani incorniciavano un visetto sottile dove navigavano grandi occhi nocciola. L'altra, piccola e minuta, conservava l'espressione gaia che fin dall'infanzia le illuminava il viso, ed era vivace e svelta come un fringuello. Con il tempo, l'oro dei suoi riccioli aveva preso un colore ancora più caldo, e le lunghe ciglia vellutate celavano profondi occhi scuri, dove guizzava sempre l'ombra di un sorriso.
Sedevano sotto il melo e con abili dita facevano fiorire sul bianco della tela preziosi ricami, mentre i loro pensieri galoppavano sulle ali della fantasia. Di tanto in tanto alzavano lo sguardo dal lavoro per sbirciare di soppiatto i loro coetanei che, in bicicletta, passavano e ripassavano sulla strada polverosa, facendo acrobatiche evoluzioni e cercando, con qualche frizzo, di carpire la loro attenzione. Ricamavano e aspettavano fiduciose, che il tempo trasformasse in realtà i loro sogni. Nelle sere d'estate, stesa una vecchia coperta sull'erba umida di rugiada, mentre i grilli frinivano fino a stordirle, stavano supine a fissare il firmamento, nell'attenta ricerca di una stella cadente che permettesse loro di esprimere un desiderio. E sempre quelli erano i loro desideri: un futuro felice, un amore ricambiato. I loro coetanei, complice l'oscurità, che l'unica illuminazione era quella fornita dal cielo stellato, si avvicinavano cauti al cancello ma, persa la baldanza che li animava di giorno, stavano timidi a guardarle, senza parlare.
Nel piccolo paese, poche case raggruppate attorno ad una strada polverosa d'estate e fangosa d'inverno, non succedeva mai niente di nuovo: i giovani si sposavano, i bambini nascevano, i vecchi morivano, e le stagioni passavano, troppo lentamente per le due ragazze che aspettavano impazienti il loro futuro di donne. E ancora una volta arrivò l'estate, improvvisamente. In pochi giorni il grano ancora verde divenne d'oro brunito e la schiera dei mietitori avanzò per i campi lasciandosi dietro stoppie brulle e mucchi di covoni. Sotto il melo, le due ragazze intente al loro eterno ricamo, vedevano passare a sera sulla strada polverosa i mietitori sudati e stanchi che tornavano dal lavoro. Passò anche luglio, mentre l'aria portava fino a loro il profumo, caldo di sole, del fieno appena tagliato.
Poi arrivò agosto. Solo la più giovane delle due ragazze sedette un giorno sotto il melo, il lavoro abbandonato in grembo, gli occhi persi nel vuoto ad inseguire chissà quali pensieri. La ragazza taceva e il melo non capiva perché una delle sue inseparabili amiche lo avesse ad un tratto abbandonato.
La ragazza taceva e sospirava, di giorno in giorno più triste e, sul ricamo che teneva in grembo, strano… cadevano gocce di pioggia, anche se il cielo era sgombro di nubi.
Fu in un'assolata e afosa mattina di mezz'agosto che il vecchio melo comprese, e desiderò che un fulmine lo incenerisse, per non vedere, per non sapere. In una bara tutta bianca, per l'ultima volta passò sotto la sua ampia ombra, la piccola amica dai riccioli biondi e l'altra, la ragazza dagli occhi tristi, mai più volle sedere sotto il vecchio melo.
Certamente nessuno, nel piccolo paese, più lo ricorda quel grande melo che stava un tempo nell'angolo dell'orto, né una giovinetta dai riccioli d'oro scuro e dagli occhi ridenti che seduta sotto la sua ombra, ricamava un inutile corredo sognando l'amore.
Ma c'è, ancora oggi, qualcuno che non ha dimenticato. Attorno a quelli che un tempo erano grandi occhi di cerbiatta spaurita ci sono ricami di rughe, fra i capelli castani fili d'argento e nella sua mente tante illusioni di meno, ma nel suo cuore c'è ancora tanto, tanto rimpianto e, intatti, i ricordi.
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