Magazine Cinema
PIA: Commenti: 3,5/5 All'uscita delle sale: 65/100Punteggio ★★★1/2
The Clone Returns Home è un film che richiede pazienza,è un invito alla contemplazione, alla meditazione sul passato e il futuro,sulla morte e lo sconforto, sull’identità e la memoria. Nakajima Kanji si accosta al suo primolungometraggio cinematografico con lirismo, conun’enfasi compassata, descrivendo attraverso uno stile a metà tra il trattofantascientifico e il dramma esistenziale intimista il trauma della perditafamigliare e la sua impossibile conciliazione. Lentamente, si delinea sulloschermo l'esacerbarsi del sentimento di colpa, il tentativo di ritrovare lapropria identità tramite una profonda riflessione sull’incolmabile vuoto chesepara l’uomo dai suoi cari perduti e i loro affetti negati. Takahara Kohei è un astronautache porta con sé l’insanabile ferita della perdita del fratello gemello, tragicamenteannegato anni prima nel corso delle loro scorribande di bambini. Un tormento acui si somma, nel presente, la morte di una madre a cui era profondante legato.Desideroso di non abbandonare la moglie e su suggerimento dei suoi superiori, l’uomoacconsente alla essere clonato per continuare a esistere anche in caso di incidente e, duranteun’operazione in orbita, forse per contingenza o forse per volontà, la fatalitàsi compie. Un nuovo Kohei ritorna dunque in vita, ma qualcosa non è andato peril verso giusto: i ricordi si frappongono e nel giovane si manifestaimprescindibile il dolore per il fratello scomparso ed il rimorso per il gestocompiuto che generò involontariamente la tragedia. Il clone inizia così unviaggio di formazione nei confronti di un passato che lentamente riemerge, neltentativo di recuperare e riconciliare la propria identità infranta. La modalità rappresentativa di Nakajimaè un collocarsi a distanza dai suoi personaggi, un mantenersi in disparte,contemplando l’evolversi degli eventi con sguardo calmo, senza impeti dicompassione. Nei personaggi vi è una certezza a cui si somma rassegnazione,ineluttabilità dell’accadimento, implosione emotiva, una difficoltà nelrelazionarsi alla crudeltà del reale che si tenta di rifiutare percorrendo lavia dell'ammenda. È uno sguardo che si posiziona lontano, ma non per questoprivo di delicatezza, quello che osserva dall’alto i due fratellini mentregiocano sulle sponde del fiume o si inseguono di fronte alla loro abitazione inuno scambiarsi e un sovrapporsi di figure, l’una intenta a rincorrere l’altra,a replicarne le movenze. La regia delinea splendidi passaggi che paiono sospesinel tempo, indugia sui suoi piccoli protagonisti, lasciando che sia lacontinuità del piano sequenza a impregnare gli eventi di quel senso di attesa ecaducità che contraddistingue la tragedia. Riscontri di tali scelte stilistichesono rappresentate dal segmento del dispetto orchestrato dal piccolo Kohei alfratellino Noboru (quest’ultimo inciampa a causa di una buca scavata nel terreno dalsuo gemello), il cui epilogo è metafora di quella distanza incolmabile chesepara il Kohei astronauta dal fratello perduto e dalla madre morente del tempopresente. In punizione per il gesto compiuto, Kohei si sofferma di fronte allasua abitazione, la camera è immobile alle sue spalle nel dipingere un quadroefficace generatosi in semisoggettiva: un fumo vaporoso permea l’ambiente, ilbimbo è mortificato per l’accaduto, mentre sullo sfondo le figure famigliari,rivolte verso di lui, sfumano nei loro contorni. Una simbolica evanescenza incui si delinea una correlazione tra gli eventi a seguire: la dipartita e ildefinitivo terreno distacco del fratello e della madre, la necessità di un riscontroche pare la richiesta di un’assoluzione. La foschia, che si intrometteall’interno di numerosi segmenti, è parte di un concatenazione di componentinaturali che l’autore utilizza per conferire un carattere metafisico alla narrazione. Ampio spazio è dedicato al defluire dell’acqua, al piegarsidella vegetazione sotto lo spirare del vento, all’estendersi all'orizzonte diverdi distese che si trasformano in territori da esplorare, percorsi daintraprendere, come quello compiuto da Kohei alla costante rivisitazione delproprio passato. La natura viene plasmata in relazione ad una regia che invoca ilmanifestarsi del dramma attraverso un dialogo di sottrazione, di raccordi disguardi dolenti, di protrarsi irreale di tempo e di molteplici elementi cheassumono un significato simbolico di ritorno e rimando: le carote del piattonon consumate, l’aereoplanino di Noboru, il bicchiere sonante e la suacirconferenza, la tuta spaziale di Kohei, iconico fardello che grava sullacoscienza. La rappresentazione della morte di Noboru è un buon esempio di tale ricercaintrospettiva. Descrivendo con trasporto, quasi una visione di sogno, dove losguardo della macchina da presa, posandosi ora sui corpi, recupera il precedente vuoto delladistanza, Nakajima soffoca il dolore di una madre nell’assenza di suono incampo estendendone la portata nell’uso del ralenti. Un pianto inudibile,mediato dallo sguardo del figlio, il cui dolore non trova conforto neltrascorrere del tempo, ma anzi, si trasforma in senso di colpa che mantienevivo il ricordo della perdita (nel passato) e della privazione (nel presente). L’autoresottolinea il reiterarsi del tempo con l’ausilio di metafore articolate,evidenziando il sovrapporsi delle identità (quella di Noboru su Kohei) el’impossibilità di raggiungere il prossimo, esprimendo la propria presenza e ilbisogno di considerazione (le grida dei due fratelli, udite ma non corrisposte,rivolte alla madre sulla soglia dell’ingresso). Ancora una distanza incolmabile,un’invocazione che genera quell’indefinibile “risonanza”, di cui narra The Clone Returns Home, che è sintomopercettivo di presenza ed al contempo insanabile distacco. La “risonanza” rendeil clone uno spirito liminale, un essere che mantiene in sé l'attaccamentoprofondo al vivente poiché vincolato ad un trauma irrisolto della sua vita. Anche l’autore, come i suoipersonaggi, sembra porsi nel bilico, nel tentativo di trovare una definizioneche possa rispondere ai quesiti dell’esistenza, sbilanciandosi dapprima suposizioni fantascientifiche per poi approdare ad interpretazioni ultraterrene,mantenendo salda l’analisi del sentimento umano. Per tal motivo, pare adeguatoaccostare la sua poetica non solo al Solaris(1972) di Tarkovsky che sovente – e a ragione – è stato citato e di cui acqua,natura, ritorno, natali, nonché parte della sintassi filmica, sono un esempiopiù che evidente, ma anche al Sokurov di Motherand son (1997), per la descrizione del rapporto materno e, in particolarmodo, per i passaggi che ritraggono il Kohei adulto percorrere mulattiere chesi inoltrano nella profondità di campi solitari e incontaminati. Alleevocazioni del cinema euroasiatico si sommano poi le componenti proprie della suacultura d'origine e se Nakajima è affine per sensibilità a Oguri Kōhei ma meno cupo di questi, è grazie ad un carattere fantastico che porta alla mente l’Ugetsu monogatari di Mizoguchi (nelrapporto con il defunto e il ritorno alla dimora fatiscente) che l’autoreedifica la sua particolare poetica in grado di fondere passato e presente,fantascienza e spiritualità, richiesta di perdono e tentativo di comprendere sestessi. [Luca Calderini]
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