Nonostante il nome esotico i KuTso arrivano da Roma.
Si fanno conoscere presto nel panorama della musica italiana aprendo i concerti di diversi artisti, tra cui Bugo, Radici Nel Cemento, Nobraino, Bud Spencer Blues Explosion, Roberto Angelini, Pier Cortese e Mannarino. Ma soprattutto vincendo numerosi contest, arrivando a pubblicare nel 2011 il primo ep Aiutatemi.
Il loro primo album Decadendo (Su Un Materasso Sporco) è uscito ad aprile, e da quel momento i KuTso hanno partecipato ad appuntamenti importanti come il Rock in Roma o il Color Fest di Lamezia Terme.
Ma cos’è che contraddistingue questa band dalle altre? La loro voglia di provocazione, il sarcasmo accattivante e il desiderio di strappare un sorriso a chi decide di ascoltare le loro canzoni o di assistere ai loro concerti, che diventano una vera e propria festa.
Eppure essere esilaranti e buffi non significa essere poveri nei contenuti, quanto piuttosto cercare di affrontare le tristezze della vita divertendosi.
Per conoscere meglio i KuTso abbiamo fatto una bella chiacchierata con Matteo Gabbianelli, cantante della band.
Partiamo dal vostro nome. KuTso è sicuramente il primo riferimento al sarcasmo che vi contraddistingue. Ma da dove nasce?
Nasce dalla mia indole polemica e dalla voglia di rompere le palle alla gente con uscite inopportune, aggressive e dissacranti.
Usate l’ironia per inviare messaggi che possano avere una certa influenza sulle persone che vi ascoltano. Ma in particolare cos’è che vorreste trasmettere?
In realtà vogliamo solo che i nostri concerti diventino sempre più delle grandi feste, stiamo cercando di portare nel poprock l’attitudine dell’ambiente punk-hardcore: ovvero gente che vola da tutte le parti e delirio collettivo. Per quanto riguarda i messaggi delle nostre canzoni, essi sono rivolti a noi stessi più che all’ascoltatore, sono riflessioni “tra noi e noi”.
In Lo sanno tutti affrontate l’eterna diatriba tra romani e milanesi. Esiste ancora questa rivalità?
Secondo me no. Credo che la distanza tra Roma e Milano si stia assottigliando, in quanto nel tempo si è creata una certa omogeneità italianizzante, dovuta alla televisione e all’emigrazione interna, che ha rimescolato le carte, inoltre le infrastrutture ormai hanno pregi e difetti in entrambe le città. Nel video volevamo ironizzare proprio su questi vecchi luoghi comuni: le opportunità che offre il nord e le rivalità a cui fai riferimento. È pur vero che nelle esternazioni e nei rapporti interpersonali, si sa, i Romani sono comunque in genere più “caciaroni” e i Milanesi più misurati.
Travestimenti improbabili e gente che s’impossessa del palco. Quanto c’è di pianificato e quanto è invece spontaneo nei vostri concerti?
Saliamo sul palco con il preciso intento di irrompere sulla scena sconvolgendo le regole del rapporto Band/pubblico, vogliamo che tutti partecipino al concerto intendendolo come una festa, un baccanale, un evento Panico, un’ubriacatura illusoria collettiva.
C’è una frase in Compro una TV che dice: “scappo tuttora da ciò di cui ho più paura”. Cos’è che vi spaventa?
Le nostre canzoni sono fotografie di momenti e stati d’animo che mutano in continuazione assumendo caratteri spesso opposti tra loro e assolutamente incoerenti. Di solito ciò che ci spaventa è fare i conti con noi stessi, guardarci allo specchio e dirci tutta la verità. Altre volte questa resa dei conti è invece stimolante, inebriante ed eroicamente suggestiva.
Come nascono i vostri testi?
Li compongo in solitudine solitamente sdraiato sul letto riflettendo sulle mie miserie.
A maggio siete stati ospiti di Occupy Deejay. L’anno prossimo vi ritroveremo al MI AMI?
Chiedetelo alla redazione di Rockit.