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Kyōfu (The Sylvian Experiments)

Creato il 20 novembre 2011 da Makoto @makotoster

Kyōfu (The Sylvian Experiments)Kyōfu (恐怖, The SylvianExperiments). Regia e sceneggiatura: Takahashi Hiroshi. Make-up ed effetti speciali:  Trucco: Hyakutake Tomo. Interpreti: Fuji Mina, Nakamura Yuri, Katahira Nagisa, Chōsokabe Yōko, Kusakabe Sō, Yoshino Kimika. Produttore: Ichise Takashige. Durata: 94'. Uscita nelle sale giapponesi: 10 luglio 2010.PIA: Commenti: 2/5   All'uscita delle sale: 38/100Punteggio ★★1/2  TakahashiHiroshi è un nome noto nel panorama contemporaneo del cinema nipponico del fantasticoe dell’orrore. Autore dei principali lavori di Nakata Hideo e collaboratore occasionaledi Tsuruta Norio, Takahashi ha contribuito in maniera decisiva alla definizionedella principali tematiche e icone che sono confluite nella rappresentazione delmoderno J-horror dalla fine degli anni novanta ad oggi. Ponendosi ora dietro lamacchina da presa, il regista-sceneggiatore dirige il sesto ed ultimo capitolodella serie J-horror Theater ideata dal celebre produttore Ichise Takashige nel2004, ed alla quale hanno partecipato, oltre ai nomi già citati, ShimizuTakashi e Kurosawa Kiyoshi. Con TheSylvian Experiments, Ichise e Takahashi, che insieme a Nakata avevanofirmato il successo del seminale Ringu(1998), suggellano un simbolico ritorno alle origini, realizzando un’opera che affrontanuove idee senza abbandonare completamente i dettami del genere. Malgrado le premessefavorevoli e il calibro delle personalità coinvolte, il risultato finale sembraperò disattendere le aspettative.Iconiugi Hattori sono una coppia di dottori che hanno una predilezione per lesperimentazioni neurochirurgiche sulla corteccia cerebrale. Una sera, mentre guardanoun vecchio filmino che mostra una serie di test eseguiti su cavie umane, assistonoal manifestarsi improvviso di un’abbagliante fonte luminosa. Incuriosite dalfrastuono, le piccole Kaori e Miyuki sopraggiungono improvvisamente, enonostante i vani tentativi della madre Etsuko di scacciarle, le bimbe rimangonorapite dalla visione. Diciassette anni dopo, durante i corsi universitari dimedicina, Miyuki (Nakamura Yuri) scompare improvvisamente e Kaori (Fujii Mina),con l’aiuto del fidanzato Motojima e il detective Hirasawa, si mette sulle suetracce, tentando di scoprire quanto le sia accaduto. Grazie ad una serie disogni e visioni extrasensoriali in cui le appare la sorella, Kaori ricavaalcuni indizi, scoprendo che la ragazza ha preso parte ad un gruppo diaspiranti suicidi dietro al quale si celano le macchinazioni della loro stessamadre. Emulando quanto vide fare nel reportage da lei ritrovato, Etsuko èinfatti intenzionata ad usufruire dei corpi dei giovani per portare a terminele sue sperimentazioni cerebrali di percezione post mortem; l’indagine di Kaorifarà di lei un’ulteriore candidata.Disarticolatoe strutturalmente carico di scarti temporali in analessi e prolessi, The Sylvian Experiments – il titolo ingleserimanda al solco che nel cervello umano divide il lobo temporale dal loboparietale, prendendo il nome di scissura laterale o di Silvio – possiede unacostruzione ad incastro discontinua e caotica, calando lo spettatore in undedalo di informazioni frammentarie e parziali che, sovrapponendosi tra loro, tendonoa congiungersi senza una logica del tutto ammissibile. Takahashi intesse unavicenda pregna di elementi che certamente conosce bene (l'egoismo e lasopraffazione, il rifiuto della vita, la percezione del diverso da sé, icollegamenti psichici, l’influenza dei defunti sul mondo dei viventi) cercandoal contempo di intraprendere nuovi percorsi: non soltanto famigliedisfunzionali, prevaricazioni materne e complicità tra sorelle, ma anchesperimentazione scientifica, aperture ultraterrene, volontà di conoscenza chespinge l’essere umano ad interrogarsi sul mondo recondito che gli si poneaccanto. Differendosi dai canoni del genere, Takahashi evita abilmente disoffermarsi su spettri e fantasmi vendicativi che tanto hanno e continuano adinfestare la stragrande maggioranza di queste pellicole, dedicandosi alladescrizione di una possibile interrelazione tra il mondo dei vivi e quello deimorti: l’autore intende varcare la soglia e poter finalmente sondare ilrecondito e l’imperscrutabile. L'attenzione della diegesi è dunque rivoltaprincipalmente alle dinamiche di attraversamento e giunzione più che alladelineazione dell'agire del singolo soggetto, ed è in particolar modo su questopunto dove il film esprime la sua originalità, la sua forza ed al contempo ilsuo limite ineluttabile. L’aspetto scientifico appare infatti piuttosto unpretesto coadiuvante che un ambito d’indagine e benché sia l’incipit dellanarrazione non ne rappresenterà il fine ultimo. La scienza rimane un mezzo perperseguire un obbiettivo (con tanto di dovizia di particolari nel ritrarrescalpi e calotte craniche scoperte in cui si inseriscono improbabili eminuscole tecnologie capaci di stimolare gli apparati sensoriali e percettivi),ma non permetterà a Etsuko di comprendere (e contenere) l’aprirsi di un varcospazio-temporale in grado di far interagire universi differenti. Insiemeall’immancabile dimora situata nei recessi boschivi (leitmotiv di eterno ritorno e riemergere alla coscienza di unpassato che attrae e richiama a sé le protagoniste), il gate è un altro di quegli elementi topici che contraddistinguono lanarrazione del J-Horror contemporaneo, esprimendosi come possibilità dicontatto e correlazione latente, divenendone, al contempo, territoriod’indagine. Si tratta dunque di mettere in relazioni gli spazi aperti e i ricordi(la foresta e la casa dei natali) ai luoghi coercitivi del presente (gliinterni dell’ospedale e la sperimentazione) in opposizione ad una zona d’ombrapregnante e carica di attesa per il suo disvelamento. La percezione ed ilrimando all’esterno si scoprono nella permeabilità della materia (la paretedella stanza che si fa molle ed attraversabile), tramutandosi in collante checonduce al fuori campo, il mondo altro che è in procinto di riversarsi suquello conosciuto. Il regista lavora egregiamente su un raccordo di sguardo chediviene ellissi narrativa connettendo luoghi e tempi differenti, configurandosiin una costante tensione verso il luogo del non visibile, il contestosconosciuto che si carica di attrazione. L’articolazione del montaggio spezzala continuità della narrazione, esprimendo una componente fluida checaratterizza l’intera pellicola. Una viscosità che investe ambienti epersonaggi e che ne trasporta il percepito annullando le distanze spaziali,accavallando i tempi, inficiando il senso di determinazione. Raccordo disguardo e mezzo mediatico svelano un’alterità altrimenti non avvicinabile, non avvertibile.Un esporre a cui si somma un uso attento delle luci, fortemente contrastatenegli interni e spesso correlate ad un’efficace saturazione monocromatica delleimmagini. Una caratteristica che si evince specialmente nelle sequenze cheritraggono l’azione in concomitanza delle stanze dove sono rinchiuse leprotagoniste: la componente luminosa si lega ad emanazioni del profilmico (ilpulsare di una stufa elettrica), insinuando una nuova fisicità in oggettiinanimati. La regia di Takahashi realizza una dialettica di spazi aperti echiusi che sancisce il tema del varco e del passaggio del corpo da un luogo(interno) ad un altro (esterno) e da uno stato materiale ad uno spirituale,conducendo alla scoperta e alla conoscenza di un nuovo universo che si riveleràostile e incontrollabile. Macosa si pone esattamente nel non visibile, nel fuori campo che tanto attraeverso di sé le protagoniste? Il film mantiene a riguardo una malcelataambiguità, sebbene una possibile interpretazione risiederebbe nel tentativo divoler descrivere l’eterno tormento che attende chi si è macchiato d’onta nelvoler rifiutare la vita. In base ad una concezione in primo luogo buddhista, lacondizione di sofferenza e patimento attende, in questo caso, i suicidi (tracui Miyuki e Rieko) e, estensivamente, chiunque abbia vissuto portando in séuna costante pulsione verso la morte, l’ “oltre” dalla vita (nello specifico,Etsuko). Le sequenze che seguono l’implosivo climax finale contribuiscono dunquead una logica che esprime (ma più propriamente accumula) la luce come varcosimbolico, la proiezione corporea extrasensoriale quale forma di contatto conil diverso e la figura maternale, virginea e procreativa – a cui l’autoreattribuisce inoltre i tratti del gaki,lo spirito famelico di carne umana, condizione punitiva per un’empia condottadi vita, dedita all’egoismo e all’avidità – in quanto simbolica rappresentante diun prossimo riversarsi degli inferi sul mondo dei vivi. Comesi è detto, la pellicola non è priva di una serie di elementi interessanti, mala modalità con cui la tanta materia a disposizione viene percorsa eorchestrata tende ad essere eccessivamente dispersiva, portando ad unaprogressiva perdita dell’attenzione spettatoriale e del suo coinvolgimento. Nell’incederenarrativo, la complessità cervellotica generalmente non giova ai film digenere, in particolar modo quando il film stesso appare restio nell’osare epovero nell’esibire: l’anticlimax non pare una buona scelta all’interno didiegesi caratterizzate da un fantastico che intende fare della densità dicontenuto il proprio punto di forza, lasciando inappagata nello spettatore l’attesaper un’epifania che rifiuta di darsi. TheSylvian Experiments sembra avvicinarsi pericolosamente a questa posizione,proponendo molteplici e contraddittorie risoluzioni ad interrogativi che nontrovano da principio una precisa definizione.[Luca Calderini]

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