Un po di tempo fa, uno degli autori di questo blog si era già posto la domanda sull’utilità dell’abilitazione scientifica nazionale per professori associati. L’abilitazione nazionale è stata introdotta dalla legge Gelmini ed ha come fine quello di valutare chi ha i requisiti necessari per poter partecipare alle selezioni per professore associato ed ordinario presso le università Italiane. L’idea dietro la sua introduzione è quella di introdurre parametri maggiormente meritocratici all’interno dell’Università ed evitare il ripetersi di situazioni scandalose come l’assunzione da parte di pochi baroni universitari di loro amici e parenti (a tal proposito consiglio un ottimo documentario sulla ricerca in Italia di Riccardo Iacona del 2004).
Negli USA, dove lavoro, tale abilitazione non esiste ed ogni Università è libera di assumere chi vuole e quando vuole (budget permettendo). Questa libertà è però compensata dal fatto che solo una piccola parte del bilancio delle Università statali viene dallo stato. Da quanto mi è stato riferito, l’Università del Colorado a Boulder (dove lavoro adesso) riceve circa il 5% del suo bilancio dallo stato del Colorado, mentre l’Università del Maryland (dove lavoravo un paio di anni fa) riceve una quota pari al 25% dallo stato del Maryland. Il resto del bilancio viene dalle tasse (molto alte) pagate dagli studenti e dalle studentesse e dai fondi di ricerca (e anche da fondi privati ed introiti dovuti ad eventi culturali e sportivi). Questo fa sì che le università debbano cercare il più possibile di assumere ottimi docenti e ricercatori in modo da attrarre fondi senza i quali non potrebbero rimanere aperte.
L’università Italiana invece non può ricevere più del 20% del proprio bilancio dalle tasse universitarie e la maggior parte dei soldi vengono assegnati dallo stato tramite il Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO). Questo fino ad oggi senza una valutazione dell’operato delle singole università e senza quindi distinguere chi usa bene questo fondo da chi lo spreca. In quest’ottica, l’introduzione di una valutazione meritocratica da parte dello stato (introdotta dalla legge Gelmini) è necessaria per evitare sprechi ed abusi.
Purtroppo però tale valutazione deve essere fatta in maniera intelligente e trasparente. Oggi moltissimi ricercatori e docenti (più di 70000) stanno aspettando di avere i risultati dell’abilitazione scientifica nazionale che dovrebbe certificare chi ha i requisiti minimi indispensabili per poter essere assunto come professore associato o ordinario. Tale valutazione si basa in gran parte sul numero di lavori pubblicati su riviste di prestigio (o presunte tali) e sul numero di citazioni. L’ANVUR (Agenzia di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca) è incaricata di questo lavoro e si è affidata al CINECA per mettere in piedi le procedure informatiche per raccogliere i dati necessari per valutare i lavori scientifici dei candidati. E qui cominciano i problemi…
Chi vi scrive, così come tutti gli altri partecipanti all’abilitazione, ha ricevuto infatti la seguente email dal CINECA:
Gentile Candidato, a seguito della Nota Miur n.3209 del 14 febbraio 2013 si comunica che sul sito riservato https://loginmiur.cineca.it nella sezione ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE (Candidato 2012), e’ disponibile un modulo che Le consente la verifica della correttezza delle informazioni inserite in domanda nella sezione Pubblicazioni con la possibilita’ di aggiungere/modificare i codici ISI e Scopus per i settori concorsuali bibliometrici, aggiungere/modificare i valori numerici standard internazionali di identificazione delle stesse (ISBN, ISSN e ISMN) per i settori concorsuali non bibliometrici.
Il CINECA infatti si serve di due database a pagamento (ISI e Scopus) per calcolare le citazioni che ogni articolo ha ricevuto. Il sottoscritto, così come molti altri, aveva (ingenuamente?) pensato che sarebbe bastato fornire il doi (digital object identifier) di ogni pubblicazione perché il CINECA potesse poi trovare le pubblicazioni nei database privati ISI e Scopus in maniera automatica. Da quel che risulta, il CINECA invece non ha accesso diretto a quei database ed ha chiesto a tutti i partecipanti di fornire (manualmente) il link ad ISI/Scopus per ogni pubblicazione. Il problema è che, essendo quei database a pagamento, molti candidati hanno accesso solo ad uno dei due (il sottoscritto solo ad ISI e non a Scopus) tramite gli abbonamenti pagati dalle singole università (anche straniere e quindi non coinvolte dall’abilitazione). Senza parlare poi di quei miei colleghi a cui il CINECA ha chiesto di verificare ed inserire i codici ISI e Scopus per più di 60 articoli e quindi più di 120 codici da verificare manualmente uno per uno… La cosa diventa ancora più ridicola quando poi si fa notare che nel mio settore (astrofisica) esiste già da anni un database bibliometrico pubblico, gratuito ed aggiornato in tempo reale gestito dalla NASA: NASA Astrophysical Data System. Tutte le informazioni necessarie per le procedure dell’abilitazione (almeno per il campo dell’Astrofisica) sarebbero reperibili gratuitamente lì.
Poiché molti candidati non hanno la possibilità di controllare i propri dati sui database (a pagamento) ISI e/o Scopus, viene spontaneo chiedersi quanti ricorsi al TAR verranno fatti da coloro che non passano l’abilitazione a causa di inesattezze nei propri dati. Vorrei vedere un giudice Italiano rifiutare il ricorso di un candidato bocciato dalle commissioni Italiane a causa di dati scorretti su ISI/Scopus (ed al di fuori del controllo dei candidati), ma idoneo secondo i dati disponibili sul database NASA…
Come avevo già scritto in risposta al blog pubblicato tempo fa, ho paura che tutto questo finirà sommerso dai ricorsi e dalle proteste. Ma la paura maggiore è che a beneficiarne maggiormente saranno alla fine quelli che si oppongono a qualsiasi forma di valutazione e di meritocrazia.
P.S.: per chi volesse “divertirsi” a seguire questa vicenda in tempo reale, un’ottima sorgente di informazioni è la pagina facebook di ROARS (in particolare questo post su ROARS aveva iniziato la discussione).