Se il libro di Kathleen Fitzpatrick, Planned Obsolescence. Publishing, Technology and the Future of Academy, fosse uscito in Italia, sarebbe stato ignorato. Pubblicato negli Stati Uniti, è stato recensito sul “New York Times”. La sua versione elettronica, offerta a una revisione paritaria aperta, è liberamente accessibile qui. Le sue tesi non sono originali per chi già usa fa ricerca in rete. Meritano, però, di essere riferite dettagliatamente per l’uso di chi avesse bisogno di argomentazioni esterovestite per riconoscere il loro interesse filosofico e politico
Che, nel campo delle scienze umane, il modello economico della pubblicazione accademica tradizionale sia ormai insostenibile, è evidente almeno dall’inizio di questo secolo, quando lo scoppio della bolla speculativa del 2000 portò con sé pesanti tagli nei bilanci delle biblioteche. La monografia però, in quanto viatico per la cattedra, vaga per gli atenei come un morto vivente, mentre il suo sistema di produzione e disseminazione sta diventando obsoleto. Oggi sarebbe più veloce ed economico mettere la proprie opere in rete, corredate, ex ante e ex post, dei pareri dei revisori: ma come far riconoscere il valore scientifico e accademico delle pubblicazioni sul web in un ambiente conservatore e ossessionato dalla carriera?
La revisione paritaria (peer review) com’è condotta tradizionalmente, in un dialogo notturno fra redattori e revisori, esclude gli autori dalla conversazione e ostacola la circolazione delle idee. La rete non solo rende possibile spostare la revisione dopo la pubblicazione, ma, soprattutto, trasforma il giudizio in una peer-to-peer review. L’autore non è più un ‘individuo “originale” artificiosamente isolato dal contesto, ma un nodo di citazioni e di rielaborazioni: la ricerca può tornare a essere, come nei dialoghi platonici, partecipazione a uno scambio comunitario di idee. Se la rete si trasforma in un medium universale, gli studiosi che non sapranno trascendere se stessi, per restare incatenati in sistemi che li separano gli uni dagli altri, diventeranno morti viventi, con i loro libri e la loro professione
1. Revisione paritaria
Investiti dalla disintermediazione e dalla partecipazione rese possibili dalla rete, i concetti di autorità e di autorevolezza stanno cambiando . Gli studiosi, però, hanno resistito al mutamento, rimanendo per lo più alieni al nuovo spazio pubblico che si sta creando. Per un accademico, analizzare le strutture del sistema che gli ha dato potere e prestigio può essere tanto sgradevole quanto accettare forme di revisione paritaria posteriori alla pubblicazione e pubbliche. Questo passo, tuttavia, sarà obbligato, perché rimanere chiusi nel proprio recinto significa condannarsi all’irrilevanza.
La storia della revisione paritaria, che trae le sue origine dalla prassi della Royal Society nella seconda metà del XVII secolo, è stata molto studiata per quanto riguarda le scienze naturali e sociali. Sebbene oggi sia intesa come un controllo di qualità scientifica, le sue radici affondano nell’assolutismo statale e nella censura, nella forma di un’autodisciplina imposta tramite le società di studiosi. Le sue stesse procedure, fondate sul controllo del direttore della rivista che decide se sottoporre un testo a peer review e sceglie i revisori, sono di natura assolutista.
L’ArXiv pratica, nei fatti, un’alternativa alla revisione paritaria tradizionale tramite un endorsement il cui scopo è verificare che i suoi contributori appartengano alla comunità scientifica. Nel 2006 “Nature” tentò un esperimento di revisione paritaria aperta e pubblica, parallela a quella privata e anonima, che si affrettò a dichiarare fallito – anche perché i revisori erano ben poco incentivati a contribuire a un’impresa annunciata fin dall’inizio come irrilevante per l’effettiva valutazione dei testi.
La revisione paritaria aperta, successiva alla pubblicazione, è vista con sospetto perché non è anonima. Chi, però. l’ha praticata sul serio può confermare che lo stesso timore della discussione pubblica produce – come sa chi si occupa di accesso aperto – un’autoselezione preliminare da parte degli autori.
I revisori anonimi, in virtù della loro posizione, hanno un potere senza responsabilità e senza interazione con gli autori; questo dà libero gioco a pregiudizi sistematici, quando i nomi di questi ultimi sono loro noti: quando invece sono nascosti rimane facile indovinarli entro gruppi disciplinari ristretti; restano, inoltre, pur sempre noti al direttore della rivista, il cui potere è altrettanto irresponsabile. Ma è davvero possibile una giustizia senza trasparenza?
A dire io vero, il “Bollettino telematico di filosofia politica“ aveva reso l’anonimato completo, nascondendo l’autore dei contribuiti sottoposti alla rivista non solo ai revisori, ma anche alla redazione. Il programma che lo rendeva possibile, Hyperjournal. non ha però raggiunto la massa critica di utenti indispensabile per il successo di un progetto di software libero: evidentemente il problema dell’equità della peer review è scarsamente avvertito nel mondo accademico.
Anche se la revisione paritaria non serve alla discussione fra gli studiosi, ed è un controllo di qualità opinabile, le è tuttavia riconosciuta una funzione di accreditamento. Le università hanno dato in outsourcing agli editori la valutazione della ricerca, con effetti gravemente distorsivi. I revisori possono essere condotti o a inflazionare i loro voti, o ad adottare criteri di selezione “di scuola”, mentre gli studiosi giovani sono costretti a concentrare le loro ricerche sul “pubblicabile” piuttosto che sull’innovativo.
Internet ha separato la pubblicazione di un testo dalla sua qualità scientifica: ma la reazione più diffusa è stata quella di negare valore alle pubblicazioni in rete, o di pretendere che imitassero il sistema tradizionale, in modo da non mettere a repentaglio le posizioni acquisite. Il principio della revisione paritaria – che il proprio contributo sia valutato e criticato da pari competenti – non è però sbagliato. E’ sbagliato trasformare la revisione in un metodo per creare autorità e per escludere dalla discussione – un metodo che fa perdere ai revisori una gran quantità di tempo per un lavoro destinato a rimanere sconosciute. Perché non separare la pubblicazione dalla valutazione, aprendo i cancelli e lasciando che la revisione paritaria avvenga pubblicamente, ex post? Perché non usare il social software – come fa Slashdot – e passare alla peer-to-peer review?
La peer-to-peer review altera il concetto di peer (pari): usato dapprima nel senso di “nobile”, nella scienza moderna designò il membro di una comunità del sapere e non più del sangue, per estendersi, in tempi recenti, a chiunque sia un nodo della rete. I pari nella loro ultima metamorfosi, anonimi, sfuggono al controllo accademico della reputazione: è tuttavia bizzarro che questa critica venga da ambienti che fondano la loro selezione della qualità su una revisione non facoltativamente, bensì’ obbligatoriamente anonima. Un’esperienza di peer review aperta ha peraltro mostrato che i commenti discussi pubblicamente sono alla fine più affidabili delle esternazioni unilaterali e insindacabili di un paio di revisori anonimi.
Slashdot, dopo aver sperimentato la dispendiosità e gli abusi di una moderazione affidata a individui, ha adottato una automoderazione collettiva fondata sull’economia della reputazione. Un sistema simile, però, per non essere esposto a manipolazioni e abusi, o alla mera idiozia delle masse, deve seguire il modello del tribunale di Atene, raggiungendo una massa critica di utenti, offrendo incentivi ai revisori e contenendo rimedi contro lo spam, lo scambio di favori e altre forme di strumentalizzazione.
Nel mondo della stampa la pubblicazione passava per un marchio di qualità perché il testo pubblicato aveva dovuto essere selezionato ex ante. Oggi questo non è più necessario né tecnicamente né economicamente: rimangono però scarsi il tempo e l’attenzione. La necessità di un filtro umano – e l’inevitabilità di un’economia della reputazione -non è abolita, bensì solo dislocata.
Quanto funziona bene in Slashdot, funziona piuttosto male in Philica, un esperimento di pubblicazione e di revisione paritaria aperta. .In generale, però, in un”accademia che accredita gli studiosi sulla base dei loro successi individuali l’abitudine a “pensare insieme” e la convinzione che il guadagno più grande sia il progresso collettivo sono talmente rare da rendere infrequenti anche le comunità disciplinari ispirate a questi principi. Mediacommons, che pubblica l’opera della Fitzpatrick, è il progetto di una comunità aperta, i cui legami sono però anteriori alla rete, che costruisce la reputazione di un utente non solo sui suoi articoli, ma sulla sua capacità di scrivere revisioni valutate come costruttive dagli altri. Il suo scopo è premiare – anti-individualisticamente, antiaccademicamente – chi collabora senza limitarsi a inondare la scena delle secrezioni del suo lavoro solitario.
Mentre la revisione paritaria è binaria – un testo può essere solo accettato o rifiutato – e gli indici bibliometrici basati sul conteggio delle citazioni sono quantitativi, questo sistema è sfumato e qualitativo, e permette di valutare in che modo un autore è situato nel suo campo disciplinare, seguendo i suoi nessi e i suoi percorsi nella sua comunità di riferimento. Non possiamo giudicare il valore del lavoro di uno studioso facendo semplicemente dei conti, senza confrontarci con la sua ricerca e il suo contributo alle comunità di conoscenza.
[continua]