Magazine Attualità
- Guido Scorza -
Il titolo – probabilmente più che il contenuto – dell’articolo di Vint Cerf sul New York Times secondo il quale “l’accesso a internet non è un diritto umano” ha risvegliato la Rete dal torpore delle vacanze natalizie.
La discussione sul ruolo di Internet nella società del XXI secolo è sempre stimolante e, ad un tempo, importante specie se ad aprirla è – come in questo caso – uno dei padri della Rete.
Francamente, tuttavia, in questo caso l’affermazione di Cerf ed il dibattito che ne è scaturito appaiono intrisi di un’importante componente di demagogia e sensazionalismo che rischiano di creare confusione.
Se l’affermazione di Cerf voleva essere una provocazione o un modo per richiamare l’attenzione della comunità internazionale sulla circostanza che Internet è “solo” un mezzo per l’esercizio di diritti e libertà e non essa stessa un diritto o una libertà, essa è pienamente condivisibile e, forse, anche opportuna.
Se, invece, Cerf ha effettivamente inteso mettere in discussione il principio secondo il quale l’accesso a internet – e non Internet in quanto tale – nel XXI secolo è un diritto umano, allora – con tutta l’umiltà necessaria quando si affronta un tema tanto delicato, specie muovendo dall’affermazione di suo profondo conoscitore – credo che la posizione non sia neppure sostenibile in linea teorica.
L’art. 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, infatti, prevede che “Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.”.
Ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo è, dunque, incontrovertibilmente, un diritto dell’uomo.
Internet – lo scrive lo stesso Cerf – è un mezzo che serve, tra l’altro, a “ricevere e diffondere informazioni e idee”.
L’accesso a Internet è una condizione essenziale per il suo utilizzo come mezzo per la ricezione e la diffusione di informazioni ed idee.
Che l’accesso a internet sia un diritto dell’uomo è, dunque, una conclusione quasi sillogistica.
Impossibile sostenere il contrario senza rimettere in discussione il contenuto dell’art. 19 della Convenzione dei diritti dell’uomo: ogni uomo ha diritto ad utilizzare ogni mezzo per ricevere e diffondere informazioni ed idee.
Internet non è un diritto dell’uomo – ma questo lo sapevamo già prima che ce lo ricordasse Cerf dalle colonne del New York Times – ma l’accesso a Internet lo è e, francamente, il ragionamento secondo il quale non dovrebbe esserlo perché Internet è “solo” uno strumento “passeggero” nell’esistenza umana mi sembra viziato e motivo di pericolosi fraintendimenti.
Non si discute dell’opportunità di inserire l’accesso a Internet in una Costituzione o in una legge nazionale – questione in relazione alla quale ha senso, forse, interrogarsi sulla transitorietà di Internet rispetto all’esistenza umana – ma della possibilità di far rientrare l’accesso a Internet tra i diritti dell’uomo già riconosciuti come tali.
In questi termini la questione dovrebbe avere una soluzione diversa da quella suggerita da Cerf: che ragione c’è per ritenere che l’utilizzo di Internet non dovrebbe costituire un diritto dell’uomo se si parte dal presupposto che ogni uomo ha certamente il diritto di ricevere e diffondere informazioni attraverso ogni (altro) mezzo?
L’accesso a Internet, nel XXI secolo è (IMHO) un diritto dell’uomo.
http://blog.wired.it/lawandtech/2012/01/06/laccesso-a-internet-e-un-diritto-umano.html
http://www.guidoscorza.it/?p=2991
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