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L’Agenda Monti e la tecnica della falsificazione

Creato il 16 gennaio 2013 da Keynesblog @keynesblog

di Guglielmo Forges Davanzati

Il Presidente Monti ci dice che, nel novembre 2011, nei giorni dell'insediamento del Governo "tecnico", l'Italia era a rischio di fallimento e che si rischiava di non poter pagare i dipendenti pubblici. Ci dice anche che l'aumento del debito pubblico nel corso del 2012 è imputabile agli aiuti forniti dal nostro Paese a Grecia e Portogallo. Come è possibile tenere insieme queste due affermazioni? E' ragionevole pensare che uno Stato a rischio di fallimento si adoperi per aumentare questo rischio (o accetti di farlo) per destinare proprie risorse al salvataggio di altri Stati?

Per quanto è possibile sapere, la prima affermazione è tutta da dimostrare, e fin qui non dimostrata da fonti ufficiali: su fonte Ragioneria Generale dello Stato, al 2011, il bilancio dello Stato italiano presentava un consistente avanzo primario, presumibilmente di importo tale da scongiurare l'eventualità di non poter sostenere le spese correnti della pubblica amministrazione. Su queste basi, si può affermare - in attesa di smentita - che lo "stato di emergenza" (premessa delle politiche di austerità messe in atto, con la massima accelerazione, dal Governo "tecnico") non sussisteva e, dunque, che le politiche realizzate lo scorso anno rispondevano a obiettivi diversi da quello dichiarato (evitare il rischio di default).

In più, l'impegno assunto dal Governo italiano di destinare ingenti risorse al "salvataggio" delle banche spagnole sta semmai a dimostrare che, fra i Paesi europei e ancor più fra i PIIGS, l'Italia è un Paese con una dinamica del bilancio pubblico già relativamente virtuosa. Non a caso, nella c.d. Agenda Monti, si fa ora correttamente riferimento al fatto che l'Italia è un "contributore netto" del bilancio europeo. Ma, mentre nell'Agenda Monti, non è dato sapere se lo era già prima dell'insediamento del Governo "tecnico" o se lo è diventato nel corso del 2012, risulta evidente - su fonte MEF - che, almeno dal 2010, l'Italia ha versato all'Unione Europea più di quanto ha ricevuto.

Si tratta di una questione, quest'ultima, che merita di essere chiarita. Mentre negli anni ottanta e novanta, l'Italia oggettivamente costituiva un'anomalia nell'ambito dei Paesi OCSE per il suo elevato debito pubblico, negli ultimi anni l'indebitamento italiano è stato sostanzialmente in linea con quello dei principali Paesi industrializzati e, in alcuni casi (Giappone in primo luogo), notevolmente inferiore. Se, dunque, nel 2011, l'Italia non era prossima a una condizione di fallimento, e se il suo indebitamento è stato sostanzialmente in linea con quello degli altri Paesi dell'Unione Europea, non si capisce - se non adducendo motivazioni che hanno a che vedere con le imminenti elezioni - per quale ragione il 2012 è stato caratterizzato dalla più alta pressione fiscale della storia del nostro Paese e per quale ragione ora Monti scriva, nella sua Agenda (p.5), che "ridurre le tasse si rende possibile".

Il Governo Monti si insediò dichiarando che avrebbe perseguito tre obiettivi: il rigore, lo sviluppo, l'equità. Non solo nessuno dei tre obiettivi è stato raggiunto, ma da questi ci si è allontanati. Per quanto riguarda il rigore nella gestione delle finanze pubbliche, può essere sufficiente ricordare che il rapporto debito pubblico/PIL è aumentato, in un anno, di 6 punti percentuali. Il modesto calo degli interessi pagati sui titoli del debito pubblico (nell'ordine dello 0.5% in un anno) è imputabile, come rilevato da molti osservatori, non alla presunta "credibilità" del prof. Monti, ma agli interventi della Banca Centrale Europea nei mercati finanziari. Al netto degli acquisiti di titoli pubblici da parte della BCE, la dinamica dei differenziali di rendimento fra titoli italiani e bund tedeschi è stata, nel 2012, in linea con quella determinatasi l'anno precedente. In più, come recentemente attestato dal Fondo Monetario Internazionale, l'aumento del rapporto debito pubblico/PIL è avvenuto proprio per effetto delle politiche di austerità. L'obiettivo dello sviluppo è stato clamorosamente mancato: la riduzione della spesa pubblica e l'aumento della pressione fiscale hanno prodotto un calo della domanda aggregata interna tale da generare un tasso di crescita negativo nell'ordine del -2,4% nel 2012 (fonte Banca d'Italia). L'Italia degli ultimi anni è diventato, fra i Paesi OCSE, uno dei Paesi (con Gran Bretagna e Stati Uniti) con la maggiore immobilità sociale e con la più diseguale distribuzione del reddito: dunque, un Paese sempre meno equo.

E' anche difficile comprendere la tesi di Monti secondo la quale, a fronte di "sacrifici" necessari nel breve periodo, si attiverà - più o meno spontaneamente - un percorso di crescita in un futuro più o meno prossimo. La c.d. Agenda Monti è troppo vaga per capire quali meccanismi di ripresa della crescita Monti abbia in mente. Gli unici punti fermi sono la preclusione ideologica al ricorso a politiche keynesiane e una sostanziale ambiguità riguardo alle politiche per l'istruzione e la sanità.

A p.9 della sua Agenda, si legge: "La scuola e l'Università sono le chiavi per far ripartire il Paese e renderlo più capace di affrontare le sfide globali". Il prof. Monti pensa che questo risultato venga raggiunto attraverso il taglio di 300 milioni di euro alle Università statali che proprio il suo Governo ha decretato nell'ultima Legge di Stabilità? O pensa che scuola e Università sono "le chiavi per far ripartire il Paese" a condizione che siano private? Lo stanziamento di fondi aggiuntivi alla Bocconi deciso dal Governo da lui presieduto fa propendere per questa seconda ipotesi. C'è molto da dubitare sul fatto che la privatizzazione dell'istruzione sia una strategia efficace per generare crescita, e ci sono, per contro, ottime ragioni per ritenere che, come si sta sperimentando nei Paesi anglosassoni, ciò non abbia altri effetti se non accrescere l'indebitamento degli studenti e delle loro famiglie.

A ciò Monti aggiunge: "Il servizio sanitario nazionale resta una conquista da difendere". Lo scrive ora; ma non è forse vero che la sua spending review ha sottratto al servizio sanitario nazionale quasi 2mila miliardi di euro per il biennio 2012-2013?


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