E’ già qualcosa il seminario sull’omosessualità, indetto dalla Agesci. Peccato per il documento con le linee guida che poi ne sono uscite e che suggeriscono ai capi scout di non fare coming-out, il rischio dicono è quello di turbare i giovani scout. Inoltre l’invito a “indirizzare quegli scout e guide omosessuali verso uno psicologo” definisce in maniera ancora troppo netta una posizione che, per forza di cose, strizza l’occhio ai vertici della chiesa. Agesci, per chi non lo sapesse, è la più grande associazione scoutistica cattolica. E’ infatti l’acronimo di Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani. Una parte del movimento scoutistico ha però contestato queste linee, minacciando di lasciare l’Agesci, l’altra parte, meno drastica, tende comunque a prendere in parte le distanze da queste linee guida. Ma il movimento Scout dovrebbe essere inclusivo, è o dovrebbe promuovere per sua natura l’accettazione e l’integrazione dei più diversi orientamenti sessuali e non. Accettazione, compassione, carità, fratellanza, pacifismo, comprensione, integrazione, nelle loro accezioni più alte dovrebbero essere alla base dei valori di un movimento che dell’insegnamento dei buoni valori ai giovani, senza discriminazione d’appartenenza o orientamento politico e sessuale, dovrebbe fare la sua missione. Questa uscita invece mi pare, nonostante la positività dell’apertura al dibattito, ancora infarcita di quell’integralismo religioso che è a parer mio un cancro dannosissimo e un atteggiamento ipocrita soprattutto quando i discorsi che si sentono in giro sono spesso indirizzati, almeno a parole, verso un lavoro di educazione atto a favorire comprensione e integrazione nel contesto giovanile. Lo dico da ex scout e da persona che nell’Agesci è stata parecchi anni e che in famiglia ha una lunga tradizione in tal senso. L’apertura ad un confronto sul tema è cosa positiva e anzi necessaria. Bisogna però stare molto attenti a come viene condotta. Trattandosi in maggioranza di giovani e giovanissimi bisogna andarci cauti e con estrema chiarezza e pacatezza, perché basta un niente per indirizzare in un senso o nell’altro individui che in buona parte non hanno ancora buona padronanza di quegli elementi che li mettano in grado di elaborare un pensiero autonomo e sulla propria persona e nei confronti degli altri. L’Agesci dovrebbe individuare in quelle “linee guida” spunti da cui ripartire sul dibattito e non intenderli come punti fermi e, ovviamente, integrare nella discussione anche le realtà del mondo LGBT in grado di portare nel discorso l’esperienza umana e diretta oltre che un’altra voce in un confronto che altrimenti sarebbe a senso unico e quindi incompleto. Se sarà capace allora avrà buone possibilità di proiettarsi in avanti con quel pizzico di indipendenza e laicismo in più che la differenzino da un seminario per futuri preti. Ho sempre inteso lo scoutismo come esperienza formativa di vita e non come luogo di indottrinamento ad un pensiero secolarizzato e spaventato dal mondo che lo circonda. E così l’ho affrontato. In qualunque discorso mi sia capitato di affrontare con lo scoutismo al centro ho sempre preso le sue difese, e chi mi conosce lo sa bene. In questo caso aspetto la prova del nove prima di farlo. Dopo tutto il motto associativo recita “Estote Paratae”, traducibile in “siate pronti” o “siate preparati”. Ed essere preparati anche in questa direzione è necessario più che mai. Marco Politi in chiusura del suo pezzo di oggi scrive su Il Fatto Quotidiano online che l’accettazione, almeno per il momento, di queste linee guida, che come ricorda, suonano molto come il “Don’t ask, don’t tell” dell’esercito Americano, “è il prezzo perché l’Agesci faccia passi in avanti”. Quanti e in che modo li farà resta ancora da vedere, Vaticano permettendo. Aspetto fiducioso|
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