Scrive Silver Silvan
Non mi riesce di riconoscermi nelle strategie affettive, per carità; credo che lì parli l'istinto e non lo faccio pensieroso, l'istinto, tutt'altro, lo faccio inopportunamente impulsivo, con tutti i guai che comporta, quanto meno perché tira fuori quello che teniamo ben nascosto e di cui, a volte, non siamo consapevoli neanche noi. Ho sempre sostenuto che l'istinto ci dà le risposte che sono davvero nostre, la ragione ci dà le risposte degli altri. Sì credo che le strategie affettive non esistano e che sia tutto molto semplice: mi piaci, non mi piaci; ti voglio bene, non te ne voglio. Le strategie, frutto della razionalità, hanno a che fare con la sopraffazione al fine di ottenere qualcosa che con l'affettività non c'entra niente. L'affettività ha a che fare con la parte vulnerabile delle persone; io le strategie non riuscirò mai a vedercele, anzi non voglio proprio vedercele, mi rifiuto. Ma potrei non aver capito niente e questo dubbio mi sfiora sempre più spesso, da un po' di tempo, lo ammetto.
Scrive Bruno Corino:
Secondo me, l’equivoco è originato dal termine “strategia”.
La strategia fa pensare al “calcolo”, e il calcolare alla razionalità, “costi-benefici”, “dare-avere”, “perdita-guadagno”. E nelle relazioni affettive è difficile pensare che s’agisca in base ad azioni calcolate. Da questo punto di vista, mi viene in mente la tipologia weberiana dell’agire sociale: valore, razionalità, tradizione, affettività. Pertanto, sarebbe per me assurdo mettere sullo stesso piano un tipo di agire diverso dall’altro. Ma non si tratta di questo. Ho distinto ogni interazione sulla base della relazione che si stabilisce tra due agenti qualsiasi, e ho aggiunto che ogni interazione è sempre un’interazione limitata a qualcosa. Per cui ho parlato di interazioni limitate al contatto (due persone sconosciute che per un attimo si incrociano per strada); alla presa di distanza (due persone sconosciute che si trovano a condividere casualmente lo stesso spazio); alla presa di contatto (due persone che si salutano scambiandosi semplici battute); alla richiesta (uno scambio di informazioni); alla prestazione (pagare le bollette alla posta); al ruolo (informale/formale); e infine ho parlato di relazioni affettive (interazioni focalizzate sul Sé generale). Ognuna di queste relazioni include quella precedente: possiamo immaginarle come cerchi concentrici. Anche tra persone legate da rapporti affettivi di lunga data (se non addirittura dalla nascita, come nel caso dei figli con i propri genitori) avvengono contatti, prese di distanza, prese di contatto, richieste, prestazioni, rispetto dei ruoli. L’affettività, vale a dire quel continuo legame emotivo/sentimentale che ci unisce a determinate persone, include sempre tutto l’elenco di cose esposte. Ed è su questi punti che avvengono le “negoziazioni”, le contrattazioni, ma anche le “manipolazioni”, le suggestioni o l’opera di persuasione. Voglio dire, è nel corso delle continue interazioni tra persone legate da rapporti affettive che emergono in modo particolare i modus operandi dei singoli: il genitore che minaccia il figlio quando gli impone di fare o di non fare questo o quest’altro; quando gli “promette” qualcosa in cambio di qualcos’altro; quando si pone come “modello” suggestionando il suo comportamento. E viceversa a ruoli invertiti. E così capita tra due fratelli, tra marito e moglie, ecc. ecc. Addirittura capita che persino l’affettività venga usata come “arma di ricatto” o per manipolare l’altro: “se non fai questo non ti vorrò più bene”; “se mi vuoi bene, allora devi fare questo e quest’altro…”. Intendiamoci: a me non importa indagare il fine che sta dietro una richiesta, una minaccia o una promessa (presume che se qualcuno vuole davvero bene qualcun altro, lo faccia a fine di bene – ma si tratta di una semplice presunzione – perché può darsi che si tratti di verificare i rapporti di forza, di verificare la capacità di sapere se ancora s’esercita sull’altro una certa influenza o un certo fascino (vale a dire un certo potere d’attrazione), ecc. ecc. Possibile, obietterai, che considero i rapporti umani (ma non solo quelli umani) da questo punto di vista? Io non valuto (come ha scritto Oude), io constato. E nel mio constatare, l’istinto ha un ruolo del tutto marginale, praticamente non è affatto presente, poiché l’essere umano (al contrario degli animali non umani) è un essere privo di istinti alla cui carenza supplisce con la “cultura”.