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L'agonia di Pompei è il simbolo della nostra accidia

Creato il 05 marzo 2014 da Astorbresciani
L'agonia di Pompei è il simbolo della nostra accidia Il 13 marzo 1787, durante il suo viaggio in Italia, Goethe visitò gli scavi di Pompei e annotò nei suoi taccuini: “Molte sventure sono accadute a questo mondo, ma nessuna che abbia procurato ai posteri tanta gioia”. La sua emozione, carica di stupore e ammirazione, è la stessa che nei secoli ha colto milioni di visitatori di quella che lo scrittore tedesco definì “città mummificata”, una città morta le cui rovine fanno parte della lista dei patrimoni dell’umanità dell’UNESCO. Altri grandi scrittori oltre che viaggiatori del passato, visitando Pompei, ne rimasero affascinati. Stendhal, nel 1817, provò “un piacere vivissimo” a passeggiare fra gli scavi facendosi “trasportare nell’antichità”, e Chateaubriand, nel 1826, non poté fare a meno di definire il sito “il più meraviglioso museo della terra”. Chiunque abbia trascorso qualche ora nel parco archeologico di Pompei, immaginando la vita che si svolgeva nelle sue vie e dimore e maggiormente l’eruzione del Vesuvio che la distrusse nell’anno 79, non può che serbare un ricordo sensazionale di quell’esperienza unica e indimenticabile. È dunque difficile, per non dire impossibile, farsi una ragione della sua agonia. Già, perché Pompei sta morendo nell’indifferenza di molti, principalmente a causa del dissesto idrogeologico del suolo, come se la cosa fosse normale. Ma possiamo considerare normali il degrado, l’incuria, e l’ignoranza? In queste ultime ore, nella regione V, è caduto a causa del maltempo il costone di un’antica bottega. Si tratta dell’ennesimo crollo annunciato. Pompei sta franando, si sta sgretolando inesorabilmente. Negli ultimi cinque anni, di campanelli d’allarme ne sono suonati tanti. Il 6 novembre 2010 si sbriciolò la Schola armatorum, dove si allenavano i gladiatori. Un mese dopo, crollarono due muri della casa del Moralista, fortunatamente priva di affreschi. Nel 2011 sono crollati altri muri. Molti edifici hanno subito danni, fra cui la domus di Loreio Tiburtino, la bottega del vasaio, la casa del Lupanare piccolo, il Tempio di Venere e la Necropoli della Porta di Nocera. Se ci scappassero i morti, sarebbe un bollettino di guerra. Poco ci manca, in realtà, e come sempre, tardivamente, si invocano misure straordinarie e investimenti per salvare Pompei, che rischia d’essere distrutta per la seconda volta. Ma com’è possibile ritrovarci a dover praticare una cura laddove bastava prevenire? È molto semplice; Pompei ha la sfortuna di trovarsi in Italia. Se gli scavi fossero altrove, in qualunque nazione civile e orgogliosa dei propri beni, non solo non subirebbero questo affronto, ma sarebbero stati valorizzati diversamente e oggi vanterebbero il titolo di prima attrazione turistica mondiale. Si sa che Pompei è la patata bollente dei ministri dei Beni Culturali del nostro Paese. Non sapendo né riuscendo a risolvere i problemi, i nostri politici la farebbero sparire con piacere. A proposito, quali sono i problemi? Cominciamo col dire che non sono le risorse. I soldi ci sono, sono i fondi europei. Il fatto è che vengono gestiti male. Beh, Pompei è in Campania, una regione dove non serve essere il mago Sylvan per far sparire i soldi. Allora il vero problema è l’incapacità amministrativa dei sovrintendenti o forse la corruzione? Macché, i primi si discolpano, la causa dei malanni sono i tagli e le mani legate. Per quanto concerne la corruzione, stiamo forse scherzando? La camorra non esiste, è un’invenzione mediatica. Perché parlare di infiltrazione mafiosa quando il vero problema è geologico e geo-idrico, la vera causa è l’infiltrazione dell’acqua visto che i terreni hanno un drenaggio insufficiente. Servirebbe attuare un piano di manutenzione straordinaria ben congegnato per venirne a capo. Serve tanto denaro e un po’ di onestà. Ma l’Unesco ha fiutato il vento, ha capito che facciamo un pessimo uso dei doni che riceviamo, e sta pensando di non buttare più i soldi nel cesso, anche se di altissimo valore culturale. Si parla del “Grande Progetto Pompei” ma non si fanno i conti con chi dovrebbe finanziarlo. È chiaro che lo scandalo Pompei è un problema meno grave della disoccupazione giovanile e della sicurezza dei cittadini, tanto per citare due emergenze nazionali che il Governo deve affrontare, ma ciò non toglie che costituisca una vera ignominia. Miserabile è quel popolo che non conserva né rispetta la memoria del suo glorioso passato. Purtroppo, è esattamente quello che noi italiani stiamo facendo con il nostro patrimonio culturale, storico e architettonico. Lo calpestiamo, deturpiamo, distruggiamo. Sono solo sassi! – si giustificano i cretini. La loro accidia mi disgusta. Sapete cos’è l’accidia? È l’avversione a operare, una sorta di inerzia mista a noia e indifferenza. È uno dei mali nostrani. Un male antico, visto che Dante riserva agli accidiosi un posto speciale nella palude Stige. Rileggetevi il VII canto della Divina Commedia e capirete perché assistiamo all’agonia di Pompei come se la cosa non ci riguardasse. D’altra parte, non siamo solo accidiosi, siamo incapaci di dare il giusto valore alle cose. Il biglietto per visitare gli scavi di Pompei costa 11 euro. È un’inezia, soprattutto se confrontato con i prezzi delle maggiori attrazioni turistiche nel mondo. Visitare la Torre di Londra costa 22 euro (il doppio) e per salire al 102° piano dell’Empire State Building per ammirare New York servono 33 USD. Ma forse, noi italiani pratichiamo volutamente una politica dei prezzi competitiva. Pur tuttavia, per entrare a Gardaland occorre scucire 37,50 euro. Vi pare logico che Pompei costi un terzo di un Parco Divertimenti? Forse ne intuisco la ragione. Vuoi paragonare l’adrenalina che scorre grazie a Raptor e Blue Tornado con la noia che ti assale ammirando gli affreschi della Villa dei Misteri? Sta di fatto che per provare il “piacere vivissimo” di cui parlava Stendhal bisogna amare il bello e la civiltà più che il divertimento fugace. Ne siamo ancora capaci, in Italia? La soluzione ci sarebbe. Regaliamo Pompei a chi può prendersene cura meglio di noi. Nominiamola enclave svizzera, che almeno ci sarà ordine e pulizia. Regaliamola agli americani, che ci costruiscano intorno dei grandi alberghi, che è sempre meglio di un centro commerciale. Oppure facciamo uno scambio con gli emiri di Dubai e Abu Dhabi. Petrolio a vita in cambio di un’area dove l’impegno di conservare le antiche rovine sia reso più lieve dalla possibilità di costruire una moschea. Potrebbe sorgere dove c’è l’anfiteatro, uno dei più antichi e conservati al mondo. In ogni caso, poiché difficilmente rinunceremo all’accidia, sgraviamoci del “più meraviglioso museo della terra” prima che il Vesuvio dia in escandescenza a causa del suo pessimo carattere.  Carpe diem, direbbero gli antichi abitanti di Pompei.

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