L’alba ad Angkor Wat!
Questo è quello che ho provato io lasciando Bangkok in direzione Siem Reap!
In partenza con il volo diretto della AirAsia
Non so bene perché ma nonostante sia stato diverse volte in questa parte della Cambogia e abbia visitato il complesso monumentale Patrimonio UNESCO di Angkor in ogni stagione, ero sicuro che questo viaggio sarebbe stato indimenticabile.
Uno degli obiettivi era vedere finalmente il sole che sorge dietro Angkor Wat, un’immagine vista tante volte in foto e che temevo mi avrebbe deluso dal vivo. Andando un po’ controcorrente rispetto a quello che dice la maggior parte della gente, per me NON è Angkor Wat il tempio più bello dell’antica capitale del Regno Khmer. Con il tempo ho scoperto che ci sono altri piccoli gioielli che meritano di essere scoperti oltre agli indiscutibilmente magnifici Bayon (il tempio con le facce sorridenti), Angkor Wat (simolo della Cambogia raffigurato anche sulla bandiera nazionale) e Ta Prohm (quello di Tomb Raider tanto per capirci)… ma si tratta ovviamente del mio pensiero personale e di sicuro venire qui senza vedere questi 3 templi non avrebbe molto senso.
E così, nonostante le diverse perplessità, ecco che alle 4 e mezza del mattino la sveglia ci scaraventa giù dal letto. Fuori è buio pesto ma per le strade si sente già il rumore dei tuk tuk. Il ragazzo che ci aveva scorrazzato ieri per le strade polverose di Siem Reap e Angkor, inaspettatamente puntuale, prima delle 5 è davanti all’hotel pronto per accompagnarci fino all’ingresso ovest del tempio. Sa bene che partire dopo quest’ora significherebbe arrivare tardi e perdersi la magia dell’attesa.
L’aria fresca mi aiuta a prendere coscienza del fatto che non sono riuscito a trovare scuse che reggessero per non andare, niente pioggia o nuvoloni a nascondere il sole e biglietto d’ingresso per 3 giorni già in mano. Appena usciti da Siem Reap il buio si fa ancora più fitto. Schiviamo all’ultimo momento un paio di turisti che hanno deciso di arrivare in piena notte a cavallo delle loro bici fino al tempio e a stento ci rendiamo conto che ai bordi della strada le vacche stanno pascolando indisturbate. Veniamo fermati per il controllo dei biglietti e già a parecchia distanza dal tempio il traffico si fa intenso. Una processione di tuk tuk, macchine e minivan procede a passo d’uomo verso Angkor Wat. Da lontano si distingue solo una fila di puntini luminosi che si susseguono uno dopo l’altro. Sembrano le lucine di un albero di Natale.
Arrivati in poco più di mezzora davanti al ponte per attraversare il fossato che circonda Angkor Wat, salutiamo Khey Son che se s’è svegliato così presto è solo per accompagnare noi e guadagnarsi così qualche bel dollaro facile, non certo per vedere l’alba ad Angkor Wat.
Mentre procedo con andatura incerta mi rendo conto che siamo fra i pochi sprovveduti a non essersi portati dietro una torcia per vedere dove stiamo mettendo i piedi. In lontananza si scorgono solo le luci dei flash e dei monitor dei telefonini. Angkor Wat è ancora completamente avvolto nelle tenebre.
Sento il cuore accelerare e un nodo in gola mi costringe per qualche minuto a stare zitto - e chi mi conosce sa bene quanto sia difficile farmi stare zitto.
Lentamente le prime luci del giorno iniziano a delineare il profilo di Angkor Wat. Mi sembra ancora più grande di quanto non mi fosse sembrato meno di 12 ore fa ed è di sicuro molto più affollato che di giorno. Difficile non intralciare qualcuno che alle nostre spalle cerca di scattare una foto senza gente fra i piedi. Ci rendiamo subito conto che la prima fila di persone sulla sponde del laghetto si trova lì da parecchio tempo. Le reflex montate sui cavalletti vengono gelosamente controllate da fotografi più o meno professionisti che sperano dentro di loro che le nuvole non nascondano il sole. Timidamente anche noi cerchiamo un angolino da cui poter contemplare l’alba.
Se non fosse stato per il surreale silenzio avrei creduto di trovarmi ad un concerto tanta la ressa attorno al piccolo specchio d’acqua che dista poche centinaia di metri dal tempio. Conversazioni in lingue diverse si incrociano sottovoce come per paura di disturbare chi attende l’inizio dello spettacolo. Gli unici ad essere particolarmente rumorosi sono i bambini cambogiani costretti prima di andare a scuola a vendere ai turisti cartoline, calamite o altri souvenir. Più la luce aumenta e più turisti arrivano, accalcandosi gli uni sugli altri con le facce rivolte verso est.
Il cielo parzialmente velato delude i molti che s’aspettavano che una palla infuocata apparisse all’improvviso fra le torri che simboleggiano il Monte Meru, la montagna sacra dove secondo le religioni Indù e Buddista vivono gli Dei. Il cielo è grigiastro e una luce azzurrognola avvolge Angkor Wat per diversi minuti. A me piace anche così. Non ci fossero state tante persone sarebbe stato perfetto ma non si può pretendere tutto dalla vita, no? Mi sento già fortunato ad aver ancora una volta la possibilità di trovarmi in questo luogo.
Mentre i primi turisti iniziano a tornare indietro, noi piano piano ci avviciniamo all’acqua per ammirare il riflesso del tempio.
Come intimorito da così tanta gente il sole con qualche minuto di ritardo inizia lentamente a far capolino fra le nuvole e le torri. Il cielo si tinge di rosa. E’ uno spettacolo unico quello della luce che si propaga e definisce il mondo che ci circonda. Tutto sembra assumere sembianze nuove. Per la prima volta in questo viaggio ho il profondo rammarico per non aver portato la reflex. I successivi 2 o 3 minuti sembrano interminabili. Il cielo cambia colore continuamente e le nuvole rendono ogni scatto unico.
Ed eccolo il mio scatto! Quello che sono tornato a guardare tante volte nel corso della giornata. Quello che mi ha fatto sorridere e mi ha fatto venire gli occhi lucidi per la gioia e l’emozione. Quello che mi ha fatto rivedere la mia idea su Angkor Wat. Quello che ha cancellato il ricordo dell’alzataccia. Quello che mi ha fatto capire perché ogni giorno migliaia di persone arrivino qui. Quello che non sarà perfetto ma è il mio e non quello di un’altra persona.
Non avrò un sole perfettamente rotondo dietro Angkor Wat; il cielo non sarà limpido; l’acqua del laghetto non sarà liscia come uno specchio e non l’avrò realizzato con una reflex. Eppure questa foto è quanto mi basta per poter fissare per sempre un attimo durato un secolo, l’istante in cui il sole ha incendiato il cielo e l’acqua.
E mentre mi allontanavo continuavo a voltarmi indietro e a ripetermi che questa è un’alba che auguro a tutti di poter vedere almeno una volta nella vita!
Il mio non è un addio ma un arrivederci a presto perché so che tornerò ancora a Siem Reap e ai templi di Angkor.
In ogni uomo abita una sua propria innocenza.
Hugo von Hofmannsthal