L’alba di una nuova termodinamica; microdispositivi che funzioneranno raccogliendo energia dall’ambiente

Creato il 07 febbraio 2013 da Senryu @DenisGobbi

Dalla rivista “Le Scienze

Luca Gammaitoni, direttore del NiPS Lab di Perugia, progetta microdispositivi rivoluzionari che funzioneranno raccogliendo l’energia dall’ambiente

di Silvia Bencivelli

Laboratori del NiPs

Una nuova termodinamica per una nuova rivoluzione industriale. L’obiettivo delle ricerche del NiPS Laboratory dell’Università di Perugia è ambizioso. Come sono ambiziose le parole del suo direttore Luca Gammaitoni, che parla di fusione tra la fisica classica, quella dei Boltzmann e dei Kelvin, e l’ingegneria elettronica, quella di computer e telefonini. Perché la nuova termodinamica, spiega Gammaitoni, ci permetterà di costruire nuovi strumenti che oggi non immaginiamo nemmeno, come successo tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento quando sono state introdotte le macchine termiche che hanno cambiato la nostra vita. La differenza con la vecchia termodinamica è che la nuova dovrà spiegare che cosa succede a scale nanoscopiche, dove le leggi che abbiamo studiato a scuola non valgono più. Cioè dovrà occuparsi di microenergie.

Il vostro laboratorio propone di rivedere la termodinamica classica in scala molto piccola, perché?

La termodinamica classica funziona finché hai oggetti che contengono almeno una mole di atomi, cioè 10^23, quindi tanti. 0 almeno: tanti rispetto a quelli dei mattoni con cui oggi costruiamo i computer, che sono piccolissimi, di poche decine di nanometri. Se vogliamo aumentarne l’efficienza dobbiamo prima di tutto capire quali leggi governino l’energia a quelle scale. E poi trovare il modo di evitarne la dissipazione sotto forma di calore, che è il fenomeno per cui il computer si scalda quando è acceso.

L’idea è che queste ricerche di base siano il punto dì partenza per la creazione di nuovi tipi di transistor che permettano sì il risparmio energetico (e non si tratta di una cosa di poco conto se si considera che oggi usiamo il 2-3 per cento di tutta l’energia del pianeta per far andare computer e telefonini, e nel 2020 si arriverà al 5 per cento), ma soprattutto permettano di costruire oggetti nuovi, come biosensori, microrobot e altri dispositivi che non hanno bisogno di batterie per funzionare ma che funzionano raccogliendo l’energia dell’ambiente in cui si trovano. Per questo parliamo di una nuova rivoluzione industriale. Del resto, anche quando fu inventato il transistor, negli anni quaranta, nessuno poteva immaginare che nel giro di pochi anni sarebbe esplosa l’industria dei semiconduttori e sarebbero state prodotte radioline portatili.

 Perché parliamo proprio di computer e macchine per la gestione e lo scambio di informazioni?

Perché cominciamo da lì. Dalle macchine di oggi, che elaborano l’informazione. La nostra proposta è considerare anche l’informazione come input per una macchina termica. Mi spiego: la ricaduta principale della termodinamica classica è stata nel capire come convenire il calore in lavoro per far andare le macchine. Per la prima volta nella nostra storia l’energia diventava importante. Tutte le nostre macchine derivano da quella rivoluzione. Oggi noi proponiamo di guardare a un computer come a una speciale macchina termica che trasforma sia l’informazione che l’energia: noi le forniamo energia elettrica, cioè energia in una forma ordinata, e lei restituisce calore, cioè energia disordinata. Con l’informazione succede il contrario: noi inseriamo nel computer dati disordinati, cioè tanta informazione, e ne escono dati ordinati, cioè poca informazione.

Energia e informazione sono connesse, e la dissipazione deila prima in calore, come hanno insegnato Rolf Landauer e Charles Bennet negli anni sessanta, è il prezzo per aver riordinato, quindi ridotto, la seconda.

Il problema attuale è come migliorare l’efficienza di questa speciale macchina termica, e per riuscire occorre una nuova visione dei processi di trasformazione dell’energia alle nanoscale, cioè una nuova termodinamica. E ci vuole in fretta, perché nel giro di una decina d’anni esauriremo il modo di produrre computer sempre più veloci, come dice la legge di Moore per cui le prestazioni dei nostri processori raddoppiano ogni 18 mesi.

Finora la tecnologia dominante ha funzionato, ma stiamo raggiungendo i limiti. Quindi il futuro della cosiddetta information and communication technology è concretamente legato alla scoperta di sistemi che da un lato evitino di dissipare energia e dall’altro la trasformino in maniera efficiente per fornirla a dispositivi piccolissimi. In teoria, l’obiettivo è progettare microcomputer che non consumino niente.

E in pratica a che punto siamo?

Oggi nel nostro laboratorio stiamo seguendo proprio quei due indirizzi. Da un lato progettiamo, costruiamo e testiamo microgeneratori di energia, come oscillatori piezoelettrici, membrane nanoscopiche e così via. Per capirsi: sono oggetti che producono energia in un certo senso riciclando quella ambientale. Sono molto sensibili alle vibrazioni, per cui appoggiati su una superficie qualsiasi raccolgono l’energia dovuta ai micromovimenti o al rumore (che è energia meccanica) e la accumulano e la convertono in energia elettrica spendibile per alimentare piccoli dispositivi elettronici. Microgeneratori di questo tipo ci consentiranno di rinunciare alle batterie, che sono ingombranti, costose, scomode, inquinanti.

Dall’altro lato stiamo studiando nuovi tipi di dispositivi con cui sostituire i transistor nella costruzione dei nostri computer, che permettano di non dissipare energia, o di dissiparne meno.

Da dove vengono i fondi per queste ricerche?

Il grosso dei nostri finanziamenti viene dall’estero. Innanzitutto dall’Europa, nell’ambito di tre progetti che coinvolgono una ventina di laboratori, di cui noi, qui a Perugia, siamo i coordinatori. Attualmente in questo settore, che è in piena espansione, noi siamo leader: stiamo assumendo nuovi ricercatori e progettiamo di costituire un centro di ricerca internazionale su queste tematiche, qui all’Università di Perugia. Poi ci sono un finanziamento statunitense dell’Office of Naval Research e alcuni fondi italiani: un progetto PR1N, un finanziamento della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia e il supporto dell’Istituto nazionale di fisica nucleare.

Va detto che negli Stati Uniti c’è un investimento molto forte sia pubblico sia privato in questo settore, soprattutto su quello che per noi è il secondo braccio della ricerca: l’invenzione di nuovi dispositivi con cui sostituire i vecchi transistor. 11 motivo è semplice da capire: si tratta dell’industria dei semiconduttori, che è fondamentale per l’economia statunitense.

Fonte: Le Scienze e Politecnico di Torino


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