Già membro della Nato, ora l’Albania dovrà avviare una nuova fase di riforme, volte a omologare la sua legislazione interna alle norme comunitarie: un processo che richiederà diversi anni, ma che rappresenta la conditio sine qua non per l’avvio dei negoziati finalizzati all’ingresso a pieno titolo nell’Unione Europea.
Uno dei primi ostacoli che Tirana dovrà superare è rappresentato dalla riluttanza di alcuni membri Ue verso un ulteriore allargamento nei Balcani: l’ingresso del “Paese delle Aquile” è ad oggi è fonte di preoccupazione in alcune Cancellerie, per via dei costi economici che esso richiederà, ma anche alla luce del crescente euroscetticismo e del rallentamento del processo democratico in nazioni da poco entrate nell’Ue come Romania e Bulgaria. Per Tirana, come già per Bucarest e Sofia, la corruzione e la presenza delle mafie nell’economia rappresentano due dei principali problemi che Bruxelles chiede di affrontare con risolutezza: lasciti di una turbolenta (e non perfetta) transizione dal Piano al Mercato, ai quali si aggiungono l’ancor elevato tasso di povertà e le evidenti diseguaglianze sociali.
L’Albania, dunque, batte sul tempo Kosovo e Bosnia e va a raggiungere i suoi vicini Serbia, Montenegro e Macedonia nell’anticamera dell’Europa comunitaria. Se i governi di Belgrado e Podgorica hanno già avviato la fase dei colloqui con Bruxelles, Skopje deve ancora superare l’annoso veto della Grecia, che non vuole l’utlizzo del nome “Macedonia” per indicare un territorio che, secondo Atene, rappresenterebbe solo una minima periferica parte dell’antico e glorioso regno di Filippo e Alessandro Magno. Una querelle storico-politica che dura dalla dissoluzione della Jugoslavia, e che obbliga la Macedonia ad assumere nei contesti internazionali, inclusi quelli sportivi, l’acronimo provvisorio di FYROM, Former Yugoslav Republic Of Macedonia (Ex Repubblica Jugoslava di Macedonia).