Uno alla volta, dopo aver posato imbarazzati per Giuliano, si siedono accanto a me e scrivono su carta quello che abbiamo loro chiesto. Sono in venti, tutti ragazzi tra i 18 e i 34 anni. Arrivano dal Ghana, dalla Nigeria, in due dal Bangladesh ma lavoravano in Libia fino allo scoppio della guerra civile. Sono timidi, a volte persino impauriti. Alcuni faticano con l'inglese e arrivano preparati con la parola da scrivere sul telefonino. Nome, età, provenienza... e poi la più difficile: il loro sogno.
Siamo nell'albergo Al Cacciatore della famiglia Cantone. La località è San Colombano, frazione di Collio, provincia di Brescia. Ma più correttamente siamo in Alta Valle Trompia, un territorio montuoso molto affascinante, la cui comunità si riconosce nei gesti spartani e concreti, un'indole gentile nascosta dietro volti severi, le mani indurite dal lavoro nei boschi o in miniera. A condurmi fin qui è stato Giuliano Radici, fotografo bresciano che avevo già avuto modo di assistere in Africa per un progetto simile: raccontare il mondo e i popoli che lo vivono attraverso una serie di ritratti, ai cui soggetti veniva sempre chiesto "qual è il tuo sogno?". Perché quando sogniamo o esprimiamo un desiderio, dice Giuliano, siamo tutti uguali. Abbiamo le stesse paure, incertezze, le stesse aspirazioni: un lavoro, la famiglia, felicità, serenità.
Da alcune settimane Collio, 2100 abitanti, è terra di confronto tra due modi radicalmente diversi di vedere il mondo e i flussi migratori. Da una parte chi è favorevole all'accoglienza dei richiedenti asilo, dall'altra chi li avverte come una minaccia alla propria sicurezza. Il pomo della discordia sono quei venti ragazzi africani in fuga da guerra, disperazione, minacce e paura. Credevano di aver trovato un rifugio qui tra i pendii della Val Trompia, ma il loro arrivo ha provocato molta più agitazione di quanto si aspettassero.
Il giorno del loro arrivo i venti richiedenti asilo hanno trovato ad aspettarli davanti all'albergo una piccola folla che non si è trattenuta dal gridare insulti razzisti nei loro confronti. "Scimmie!", "Mangia banane!". Un sasso ha rotto ha rotto una finestra dell'albergo. E la cosa peggiore è che tra quella folla c'era anche il sindaco di Collio, Mirella Zanini, eletta con la Lista Civica Alta Valle Trompia.
In un'intervista trasmessa dalla rete locale Teletutto il sindaco avrebbe poi ammesso, confusamente e senza molta convinzione: "La situazione è sfuggita di mano, tra virgolette, perché la realtà è talmente piccola che all'arrivo di questi profughi la gente si è allarmata..." E poi: "L'arrivo di questi profughi all'insaputa di tutti, e anche dell'amministrazione, è stato un colpo a ciel sereno."
Sempre secondo il servizio trasmesso dall'emittente bresciana "la protesta è stata principalmente di chi abita la frazione dell'Alta Val Tompia". Ma secondo chi lo scontro l'ha visto dall'altra parte di quel vetro rotto non è andata affatto così. Isaia Mensi, giunto qui come volontario insieme alla moglie Magda per assistere la famiglia Cantone con l'accoglienza dei giovani rifugiati, racconta che le proteste sono state orchestrate dall'alto. Camice nere, megafoni, slogan... gruppi neofascisti giunti da Brescia, un centinaio di persone a cui forse si sono aggregati una cinquantina di abitanti di San Colombano: "Erano qui ancora prima dell'arrivo dei profughi, urlavano di voler bruciare l'albergo. Noi siamo entrati con le bandiere dell'ANPI e abbiamo cominciato a organizzare il presidio Gruppo Pace e Solidarietà."
Secondo un documento diramato ai media e firmato " Coordinamento antifascista e antirazzista" la manifestazione è stata un'espressione xenofoba orchestrata con la complicità di alcune amministrazioni locali contrarie all'accoglienza, a cui hanno partecipato Forza Nuova, il collettivo Brescia ai Bresciani e alcuni esponenti del gruppo ultras del Brescia Calcio.
I responsabili di Brescia ai Bresciani hanno aperto una pagina Facebook dal titolo " Valtrompia Identitaria " dalla quale commentano la cronaca che riguarda atti di violenza da parte di migranti ed esprimono solidarietà alle vittime. Ho contattato i responsabili della pagina, che hanno voluto sottolineare come la loro non sia una posizione razzista, che anzi "non ci opponiamo alla microaccoglienza ma al sistema globale dell'accoglienza come ci è proposto oggi. Cerchiamo di sensibilizzare la gente sul tema dell'immigrazione, sul costo sullo stato sociale che essa comporta, sulle modalità attraverso le quali i rifugiati fanno richiesta d'asilo e cosa accade quando questo gli viene negato, su chi ne ha fatto un business e in che modo ci lucra."
"La protesta è nata la sera dell'arrivo degli immigrati, il sindaco è stato avvisato dal prefetto alle 12 che alle 19 sarebbero arrivati ed ha sparso la voce nel paese. Alle 20 c'erano circa 300 persone sotto l'albergo - mi hanno raccontato i responsabili di Brescia ai Bresciani - da un mese e mezzo a questa parte tutte le sere gli abitanti del paese si trovano sotto l'hotel per protestare, a volte animatamente, ma sempre nei limiti della civiltà. In un mese sono state raccolte 1400 firme su poco più di 2000 abitanti."
Infatti dopo le prime manifestazioni di protesta alcuni cittadini di Collio hanno avviato una petizione per richiedere l'allontanamento dei profughi da San Colombano. Invece nel corso di una riunione con CGIL e ANPI provinciale il presidente della Comunità Montana Valle Trompia, Massimo Ottelli, ha denunciato una strumentalizzazione della crisi, ma ha ricordato anche i risultati importanti ottenuti in Val Trompia riguardo all'accoglienza, e che "la microaccoglienza non deve essere un tampone, ma un progetto concreto."
Intanto la vita dei venti rifugiati nell'albergo Al Cacciatore prosegue tra paure e speranze. Simone Cantoni, figlio dell'attuale proprietario, ricorda con dolore gli insulti rivolti a lui e alla sua famiglia. L'albergo dei nonni è sempre stato motivo di orgoglio per la famiglia, ma il calo dell'attività turistica ne aveva decretato la chiusura diversi anni fa. Le elevate spese di mantenimento hanno indotto la famiglia ad accogliere la richiesta del prefetto di partecipare al bando per la microaccoglienza. All'inizio c'era qualche timore, ci sono stati i colloqui con la polizia, le raccomandazioni, invece - afferma Simone - "i ragazzi si comportano benissimo, aiutano con le faccende domestiche, puliscono, tengono in ordine gli ambienti. Devono imparare a convivere con noi, una volta fuori si dovranno arrangiare."
Nemmeno Simone pensa che l'accaduto, gli insulti, i vetri rotti, siano da imputare alla comunità locale. Gente per bene, gentile, onesta, ma anche facilmente manovrabile, vittima di paure, ignoranza, timori verso il nuovo e il diverso. Ma se ne dovranno fare una ragione. "È un processo inarrestabile", gli hanno detto più volte in questura.
Parlando con me Simone trova anche parole di gratitudine per chi privatamente ha manifestato la propria solidarietà, per le forze dell'ordine, per i volontari e gli amici accorsi ad aiutarli. Non c'è dubbio che per molti l' accoglienza è un business, ma la massima aspirazione della famiglia Cantone è coprire le spese di mantenimento della struttura. Meno chiari sono i giri di interesse delle cooperative che gestiscono i servizi di accoglienza, fornendo assistenza legale e un insegnante di lingua italiana certificato. I costi, che la struttura deve detrarre dal proprio fatturato, sono decisi dalla cooperativa secondo logiche tutt'altro che trasparenti, e non sono oggetto di discussione. Già nel 2013, prima ancora che l'accoglienza divenisse "micro", le inchieste giornalistiche avevano sollevato il velo su un ambiente malsano composto da "Cooperative, società nate per l'occasione, ma anche colossi industriali del Nord e multinazionali... Alcune sono vere e proprie bombe a orologeria, ma nessuno sembra farci caso." (Repubblica.it, 16/10/2013)
Il 9 settembre su alcuni giornali è comparsa una lettera aperta scritta dai venti rifugiati con l'aiuto dei volontari, un modo per comunicare alla cittadinanza la loro presenza e i loro timori, ma anche per professare la loro buona volontà: "Non vogliamo essere visti come un problema e non vogliamo creare problemi... Noi non odiamo nessuno e non abbiamo cattive intenzioni, ma non vogliamo vivere più con la paura... Cosa sogniamo? Un futuro sereno, la libertà. E la felicità, come tutti i giovani del mondo."
Al loro arrivo si prevedeva una permanenza di circa tre mesi. In seguito l'estremo ritardo nelle procedure di esamina delle richieste di visto hanno protratto i tempi, tanto che ora si pensa si possa arrivare agli otto o nove mesi. Per ora sperano solo che siano mesi sereni. Come tutti a San Colombano.
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