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L’albero dell’infanzia

Creato il 10 dicembre 2011 da Michele88mvp @micheleponte

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Scendo le scale e incontro mio nonno. Dice che devo abbatterlo, l’albero, dice che č secco, non dŕ frutti e quindi č inutile.

L’albero dell’infanzia
Io ribatto che č utile, l’albero, le foglie crescono ancora e l’estate fa ombra a noi che giochiamo a basket. Non mi importa nulla dei fichi, tanto non ne vado pazzo.

“Se un albero non dŕ da mangiare, č da abbattere” dice. “Se una moglie non dŕ piů figli, č comunque una donna che ti ama”, continua, “e tu la ami a tua volta, quindi te la tieni.”

Io all’albero ci tengo, vorrei dirgli, ma taccio. Quell’albero ha una storia, un passato nel quale io ero presente e uno ancora piů lontano. Nel passato in cui c’ero – e ci sono, ma ancora per poco – mi sono arrampicato lě sopra svariate volte. Lo usavo per giocarci a nascondino, come luogo di passaggio verso il terrazzo sopra i garage, come torre di guardia, come punto per tirarci le bombe d’acqua. C’č anche da dire che quando le cose in casa andavano male, e con tanti fratelli piů piccoli accadeva spesso, era un rifugio perfetto. Lě, tra rami e foglie, si abbracciava un mondo tracciabile solo nelle favole, e lo si faceva con gusto. Il resto spariva, io sparivo, e tutto era insignificante. L’albero mi donava vita e vitalitŕ. Poi scendevo, e stavo meglio.

Vado a cercare l’olio per la motosega, dŕi.

L’albero dell’infanzia


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