“Qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed è l’odore dei limoni”
(Eugenio Montale)
La Liguria è grigio azzurra stamattina, forse di quel colore che ho sognato sui libri di Liala che parlava di piloti con un’aquila sul petto. Una ragazzina cresce affascinata da quello che legge perché niente ti resta inciso dentro come le parole. Belle o brutte. Come la verità.
Laigueglia è assopita nella foschia dove nuotano i gabbiani bianchi e argentei sopra la pancia dell’isola lontana, le onde spumeggiano sulla battigia grigia e quella spennellata rosea all’orizzonte illude un sereno che proprio non verrà.
Questo è un blog di ciclismo, è vero e forse questo non c’entra niente. O forse sì. Perché in tanti dicono che lo sport è la metafora della vita. E io a volte ci credo, quasi sempre. Alla fine, la scrittura prima e poi anche il ciclismo, sono state spesso una medicina. Però, certe ferite che magari non mi toccano da vicino ma le sento, le sento davvero e mi scioccano, mi mettono addosso la tristezza di sapere che certe volte non si possono proteggere le persone dalla violenza, dalla cattiveria gratuita. Che questa venga subita in silenzio, senza nessuno vicino che ti dica “non avere paura”.
E’ una delle cose più orrende che possano succedere.
Dovrei pensare al ciclismo, a questo nuovo inizio. Invece, mentre guardo il mare che si perde sulla spiaggia, i gabbiani che volano sull’isola, penso a Giulio che neanche conoscevo. Non so nemmeno se ho il diritto di pensare a lui. Eppure ci penso e non posso credere che il mondo abbia la pace di un mare in silenzio e possa sprecarla odiando.
C’è questa partenza un po’ in sordina, i ragazzi che si incolonnano per sfilare nei piccoli vicoli scuri dai quali, di tanto in tanto, sbuca il verde azzurro del mare. Sono come i loro sogni. Stretti assieme in tutti i loro sacrifici, in bilico tra il buio e la luce improvvisi. Forse è una giornata strana anche per loro: qualcuno scarta una barretta, la divora in due morsi, qualcuno si sistema il pantaloncino, la manica, sotto un cielo grigio e gonfio. Gesti meccanici. La testa è altrove, nessuno può sapere dove. Partono in un soffio e la gente si disperde quasi subito.
C’è un giardino affacciato sulla strada. Una casa bianca con le persiane verdi chiuse, verde intenso, come certi cespugli di salvia che crescono solo qui e si possono mangiare fritte persino. Nel giardino c’è un ulivo, un pozzetto. E un albero di limoni. Sono così gialli da sembrare finti, così belli da fermarsi a guardarli da dietro le sbarre del cancello. Eugenio Montale lo conosceva bene il colore dei limoni e anche il loro profumo: la terra dove nasci la canti come fosse la tua anima, sai dirla nel profondo. Gli aveva dato il potere delle piccole cose autentiche, gli aveva dato il dono di togliere il gelo dal cuore.
Sulla salita che porta al GPM c’è un bambino con il nonno, guardano la lista partenti insieme; sul traguardo un papà dice alla sua bambina bionda che sta sulle sue spalle di guardare nella telecamera e salutare, così la nonna che sta a casa la può vedere in televisione. Un bimbo aggrappato alle transenne davanti al palco premiazioni chiede: “Ma perché premiano sempre lui? E gli altri?”
Quel lui è Nicola Gaffurini che in realtà i riconoscimenti se li merita tutti. Per essere stato nella fuga del giorno e persino per aver gettato la spugna per ultimo, dando tutto sé stesso.
Ma c’è qualcosa in quella frase che mi ricorda il giallo dei limoni. Un senso di ingiustizia latente al quale l’innocenza si ribella per istinto. Quando un nonno o uno zio vicino gli spiega il perché allora tutto si sistema, il bambino guarda a quel ragazzo sul podio sapendo che quelli sono premi meritati.
Quella piccola logica, così semplice e così complessa, è una specie di speranza.
Il ciclismo non è uno sport dalle mezze misure. Se è vero che è come la vita, allora deve esserlo fino in fondo. Scorrerci in parallelo. Ogni volta ha qualcosa da insegnare, basta starlo ad ascoltare. Anche se è una giornata grigia e i gabbiani volano bassi come i pensieri.
Non basta un albero di limoni a scacciare le domande senza risposte ma è un buon modo per ricordarci che l’attenzione che abbiamo per le piccole cose è una risorsa importante per non finire svuotati da questo mondo che ci porta lontano per non vedere, per non sapere.
Se solo fosse un po’ più forte, allora la sensibilità salverebbe il mondo.
Solo un po’. Basterebbe.