Makambako è una piccola città del Tanzania meridionale , un centinaio e più di chilometri distante da Iringa,il centro principale della zona, dove ha sede una missione cattolica della Consolata di Torino, retta da p.Remo Villa, un lombardo molto attivo e ben coadiuvato, che alterna Vangelo e lavoro manuale senza mai crearsi problema alcuno.
Quando un mio amico missionario qualche mese fa è partito per questa destinazione,al suo arrivo, la prima cosa che mi è venuta spontaneo chiedergli, è stato quale fosse il significato del nome Makambako.
Sappiamo tutti l'importanza per l'africano del nome, da quello che viene assegnato ,alla nascita, alla persona e che la segna per tutta la vita ,fino ad arrivare a quello delle diverse città e villaggi, che la dicono lunga su storia e caratteristiche.
Il luogo, dove oggi sorge Makambako, un tempo era uno spiazzo enorme su di un altipiano, inizialmente completamente disabitato e poi, a poco a poco, popolato da tribù locali in cerca di terra da coltivare e di pascoli per il proprio bestiame.
Il solito bisogno di autosufficienza in contesti difficili per la sopravvivenza, dove si passa con grande disinvoltura, dal giorno alla notte, da un caldo insopportabile, specie nelle ore di punta, al freddo simil-polare, che fa battere i denti.
Per non parlare dei mesi ,trascorsi a forza inoperosi, durante il periodo delle grandi piogge.
Comunque i primi arrivati, in quella realtà che oggi è Makambako, scorsero, quasi per caso, un bellissimo albero, il quale con la sua chioma prometteva frescura al viandante affaticato.
Con le odierne conoscenze sappiamo trattavasi di una pianta della famiglia delle leguminose.
Niente di speciale insomma ma abbastanza vitale.
Una pianta come tante altre.
Sta di fatto che, con il trascorrere dei giorni, dei mesi e degli anni, quest'albero cresceva sempre più ma non in altezza. Cresceva in robustezza tanto che il diametro del suo tronco ad un certo punto poteva essere abbracciato solo da quattro uomini insieme.
Comunicava dunque così bene l'idea della "forza" tanto che gli abitanti del posto, nella lingua locale, lo denominarono subito "kumbaka", che significa toro.
La sua ombra ,per il rispetto che incuteva, prima dell'arrivo dei missionari cristiani o dell'Islam, era divenuto lo spazio deputato alle celebrazioni dei riti delle religioni tradizionali.
Ad un certo punto però, come sempre accade ed è giusto che sia, l' albero, che comincia ad invecchiare, presenta nel tronco, delle enormi cavità.
E, in queste cavità, alcune api laboriose vanno a depositare dell'ottimo miele, gioia e delizia dei bambini e degli adulti del villaggio.
L'albero in tal modo, pur invecchiando, continua a rendersi utile ed è oggetto di autentica venerazione da parte di grandi e piccini.
Quando poi, vecchio vecchio, sarà necessariamente abbattuto, nessuno si sognerà mai, pur avendone necessità estrema, di utilizzare la sua legna per fare il fuoco.
I suoi rami, il suo fogliame, le sue vecchie radici, hanno fatto e faranno da humus per nuovi giovani alberi che, manco a farla a posta, proprio in quello stesso luogo, oggi si sono moltiplicati e assistono in un clima quasi festoso e molto partecipe ai mille e uno giochi, che la creatività inesauribile dei bambini , ad ogni latitudine, anche a Makambako,s'inventa per trascorrere piacevolmente il tempo libero.
Così come il "vecchio" albero di allora e i"giovani" alberelli di oggi, anche la città di Makambako,a partire dal nucleo originario occupato dai primi abitanti, attualmente si dirama in più quartieri e intende mostrare la sua vitalità "taurina" al mondo.
E , pole pole, ossia adagio adagio,ce la farà sicuramente.
L'Africa, il Tanzania in questo caso, è una terra anagraficamente "giovane" e i giovani sono capaci di sognare e talora di trasformare anche i propri sogni in realtà.
E noi questo lo auguriamo di tutto cuore ai giovani di Makambako.
A cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)