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L’alienazione sociale – radiohead: canzoni e molto altro – 4

Creato il 04 dicembre 2013 da Postpopuli @PostPopuli

 

L’alienazione sociale. Ecco la quarta puntata della mini-serie sui testi e i significati delle canzoni di questa celebre band inglese, che è stata attentamente studiata da Martina Galeati in un’eccellente tesina di maturità sospesa tra studio della lingua, musica, letteratura e filosofia.

di Martina Galeati

L’alienazione sociale

All’interno dell’opera di Herbert Marcuse L’uomo a una dimensione (pubblicata nel 1964), si delinea un soggetto alienato della società, la cui ragione si identifica con la realtà, senza distinguere ciò che è da ciò che dovrebbe essere. Il sistema tecnologico che si sta mano a mano sviluppando vuole rendere razionale l’irrazionale, così come si descrive nel testo di Fitter Happier dei Radiohead: “Sii interessato ma non innamorato” (“fond but not in love”); “non avere paura del buio” (“no longer afraid of the dark”)”.

Questi sono esempi di chiara irrazionalità quotidiana e comune, che la società consumistica non richiede e non permette. L’irrazionale non omologa e non rende possibile il controllo. Gli aspetti scomodi della vita umana devono, quindi, essere mano a mano eliminati. Ma questo processo (che avviene anche attraverso i mezzi di comunicazione di massa) logora l’essere umano: lo porta a trasformarsi in un ‘animale’ obbligato alla reclusione “un maiale ingabbiato pieno di antibiotici” (“a pig in a cage, on antibiotics”).

 

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Max Weber (da Wikipedia)

“Quando l’ascesi passò dalle celle conventuali alla vita professionale [...] contribuì, per parte sua, a edificare quel possente cosmo dell’ordine dell’economia moderna [...] che oggi determina, con una forza coattiva invincibile, lo stile di vita di tutti gli individui che sono nati in questo grande ingranaggio [...]. Solo con un leggero mantello, che si potrebbe sempre deporre, la preoccupazione per i beni esteriori doveva avvolgere le spalle dei suoi santi [...]. Ma il destino ha voluto che il mantello si trasformasse in una gabbia di durissimo acciaio”, scrive il sociologo, filosofo ed economista Max Weber in Sociologia della religione (Edizioni di Comunità, 1982).

L’immagine della gabbia d’acciaio era stata precedentemente utilizzata da Weber nella descrizione dello sviluppo del potere della tecnologia. I comportamenti umani, secondo il filosofo, si caratterizzano come un agire razionale volto al raggiungimento di determinati obiettivi lavorativi: la razionalità non è altro che la corrispondenza tra i mezzi e gli scopi dell’agire umano. La produzione industriale della società moderna è caratterizzata da una razionalità formale, cioè dall’orientamento degli individui verso i mezzi ultimi: l’uomo moderno non si chiede come possa funzionare la macchina; si chiede se questa funzioni. In altre parole, ci si preoccupa dei mezzi che rendono possibile il raggiungimento dei nostri scopi.

Weber e i rappresentanti della Scuola di Francoforte sono accomunati dalla consapevolezza che la razionalità moderna, successiva all’Illuminismo, se da un lato ha avuto il merito di disincantare il mondo dalla visione teologica e metafisica della realtà, dall’altro ha portato una nuova forma di oppressione sull’uomo: le leggi del meccanicismo economico.

L’uomo è passato quindi dal ‘disincanto del mondo’ alla grande ‘gabbia d’acciaio’; si trasforma da essere irrazionale che segue i propri sentimenti (s’innamora, si spaventa..), a un animale rinchiuso in gabbia. Ma in realtà, che cosa rappresenta, oggi come ieri, la “gabbia di durissimo acciaio”?

Weber delinea quasi uno studio storiografico di questa gabbia, partendo dalle sue origini. Tutto è iniziato con lo sviluppo del Calvinismo, in quanto ci si curava delle azioni umane e dei beni materiali: quanto più si ottiene successo e denaro in terra, tanto più sarà la beatitudine oltremondana: “Omnia in maiorem Dei gloriam” (“Fare ogni cosa per la maggior gloria di Dio”), frase considerata quasi come un mantra per i seguaci del Calvinismo.

 

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I Radiohead (da Wikipedia)

L’ascetismo mondano del Calvinismo ha dato origine al concetto di “vocazione professionale”, definita dal filosofo con il termine Beruf, che propriamente significa “Compito imposto da Dio”, e che ha dato uno stampo di obbligo morale al dovere professionale. E nella civiltà capitalistica vige questa concezione del lavoro: “Sii un libero professionista, preoccupato, un membro della società (pragmatico, non idealista)”, tornando al testo di “Fitter Happier” ["self-employed empowered and informed, member of society (pragmatism not idealism)”].

“La progressiva intellettualizzazione e razionalizzazione non significa […] una progressiva conoscenza generale delle condizioni di vita che ci circondano. Essa significa bensì qualcosa di diverso: la coscienza o la fede che basta soltanto volere, per poter sperimentare ogni cosa; e che dunque, fondamentalmente, non esistono forze misteriose e inconoscibili capaci d’inserirsi nella vicenda mondana, ma che, al contrario, tutto – in linea di principio – può essere dominato con la ragione. Il che significa il dis-incantamento del mondo. Non occorre più ricorrere alla magia per dominare o ingraziarsi gli spiriti, come fa il selvaggio per il quale esistono simili potenze. A ciò sopperiscono la ragione e i mezzi tecnici” (Max Weber, La scienza come professione, Armando, 1997).

 

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