Magazine Maternità
La mia esperienza di allattamento è iniziata con questa frase-bomba sentita al corso preparto, quando ancora l’essere mamma era solo un’idea fumosa e lontana. Ricordo perfettamente la faccia sadica dell’ostetrica mentre ci parlava: “Dovrete dimenticarvi di fare qualsiasi cosa durante i primi mesi: allattamento a richiesta significa disponibilità a tutte le ore”. Un frigorifero, appunto. O un frigobar, per le più cool.
Io avevo letto “Il linguaggio segreto dei neonati” di Tracy Hogg, e avevo quindi un’idea diversa dell’allattamento, un po’ più regolabile e prevedibile, ed ero molto decisa a non diventare il frigorifero di nessuno. Per mia fortuna, in ospedale l’impatto con l’allattamento è stato buono: credo di aver mostrato a 20 infermiere le mie tette (con attaccata l’annessa infante ciucciante) chiedendo continuamente “Va bene così? Si attacca giusta?” e ho avuto incoraggiamenti, suggerimenti, parole di fiducia. Ho studiato per tre giorni il colore dei rigurgitini di mia figlia per capire se si trattasse di colostro o di chissà quale altra sostanza ignota che immaginavo potesse fuoriuscire dal mio seno… Ma siamo sopravvissute, e siamo arrivate a casa.
Ecco, a casa.
Elisabetta, la mia bambina, si è da subito attaccata bene al seno, e poche volte al giorno. Sento già il coro di “BEAAAAATA!!!!”. Sì, bello, ma in realtà la piccola sanguisuga stava attaccata al mio seno anche un’ora, un’ora e mezza. Poi magari per 4 ore non chiedeva nulla, ma quelle poppate interminabili erano davvero pesanti per me, soprattutto perché ho iniziato subito a sentirmi spompata, senza energie, addirittura appena la attaccavo al seno mi si annebbiava la vista. Ho avuto immediatamente la sensazione che non ci fosse molta poesia nell’allattamento, anzi….
Durante la prima visita, la pediatra mi ha consegnato un foglio con gli alimenti che non potevo mangiare durante l’allattamento: giuro, me li ricordo tutti a memoria anche ora, in particolare la frutta: no albicocche, pesche, fragole, ciliegie. Volevo morire: mi faccio l’inverno con il pancione e una voglia incontenibile di albicocche e pesche (trovatele a febbraio!!!!!), a maggio partorisco anelando una bella pesca matura e invece… zero. Mele e pere forever.
Poi arrivano le coliche e in ospedale mi dicono: zero latte e derivati, “signora mangi tanto minestrone!!”.
Qualcuno tra voi ha provato a mangiare il minestrone ad agosto??
Passi per l’alimentazione triste, passi per la stanchezza cronica e la sensazione di essere “risucchiata” da un esserino di quattro chili, ma a settembre le cose hanno iniziato a mettersi male: io ho sempre avuto l’impressione che uno dei miei seni funzionasse meno dell’altro, malgrado attaccassi Elisabetta a entrambi, ma a settembre la situazione ha cominciato a farsi più marcata, soprattutto verso sera il senso di “seno vuoto” era forte. Elisabetta ha cominciato a non crescere più e a dormire moltissimo, saltando i pasti: la pediatra mi ha spiegato che questo è un modo che i bimbi mettono in atto quando sono stanchi di chiedere senza essere soddisfatti, semplicemente dormono e non chiedono più. E mi ha prescritto di aggiungere del latte artificiale ad ogni pasto, attribuendo il calo di latte allo stress. Lo stress: la soluzione di tutti i mali senza altra causa. Sarà stato anche lo stress, ma io sono convinta che qualcosa non ha mai funzionato bene nel mio seno, senza nessuna responsabilità né mia né di mia figlia.
Ma inizialmente ho passato giorni attanagliata dai sensi di colpa, a cercare di capire cosa avevo sbagliato, perché non mi ero impegnata abbastanza, cosa non funzionava più in me….
Vi dirò, nel giro di 3 giorni mi è passata. Giusto il tempo di capire che Elisabetta ricominciava la sua crescita costante, giusto il tempo di capire quanto fosse comodo il latte artificiale e anche quanta voglia avessi di iniziare lo svezzamento e di eliminare tettarelle e sterilizzatori.
Ho continuato ad allattare Elisabetta solo al mattino fino a novembre, poi ho deciso (da sola) che avevo fatto abbastanza, e che ne avevo abbastanza. E sono proprio contenta, sia di aver fatto quello che potevo, sia di avere smesso quando non ne potevo più. Orgogliosa di non essermi sentita il frigorifero di nessuno, ma una mamma in carne e ossa.
Giuppy di http://evabenecosi.blogspot.com/
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