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L’altra America

Creato il 13 novembre 2012 da Zeroconsensus

L’altra America

Di Gabriele Rapaci per www.frontepopolare.wordpress.com

Vi è un luogo comune infondato e tuttavia molto radicato nella mentalità diffusa secondo il quale non sarebbe mai esistito negli Stati Uniti un movimento operaio organizzato secondo il modello dei paesi europei. Secondo tale vulgata  il mito del «American Dream», secondo il quale ogni individuo negli Stati Uniti ha la possibilità di poter scalare la gerarchia sociale sino ad arrivare in cima grazie unicamente al proprio duro lavoro, al coraggio e alla determinazione, avrebbe reso impossibile la nascita di una “coscienza di classe” presso gli operai americani.

Il libro di Richard Boyer ed Herbert Morais Labor’s Untold Story: The Adventure Story of the Battles, Betrayals and Victories of American Working Men and Women e pubblicato dalla casa editrice Odoya con il titolo Storia del movimento operaio negli Stati Uniti (1861-1955), ha il merito di colmare una lacuna storiografica importante. Dai Molly Maguires alla metà dell’Ottocento sino al Congress of Industrial Organizations (CIO) di John Lewis (1880-1969), nato da una scissione del AFL e molto attiva nel cosiddetto “decennio rosso” (1930-1940), la storia del movimento operaio negli Stati Uniti è stata costellata da epiche battaglie per forgiare l’unità di classe, che è stata tuttavia compromessa sia a causa della violenta repressione dello stato che dei sindacati concertativi. Come pocanzi accennato, infatti, una delle costanti nella storia del movimento operaio americano fu l’inaudita violenza dell’apparato repressivo statale al servizio dei monopoli economici. Le deportazioni, l’uso di squadre di vigilantes, le esecuzioni sommarie e i processi farsa messi in piedi contro i leader del movimento dei lavoratori non si contano così come le calunnie inventate di sana pianta dalla stampa vicina ai grandi potentati economici per poter giustificare la repressione.

Quando scoppiò lo sciopero nelle ferrovie, il primo della storia nazionale americana, i giornali vicini al potere non si limitarono ad accusare gli organizzatori della protesta d’imbastire un complotto comunista, ma invocarono la repressione violenta al fine di ricondurre gli operai al lavoro.  Il New York Herald dichiarò ad esempio che «la folla è una bestia feroce su cui bisogna sparare» mentre il New York Sun invocò «una dieta di piombo per gli scioperanti affamati».

L’oscena compromissione della stampa con i grandi monopoli economici portò l’eminente giornalista progressista di New York John Swinton ad affermare, durante un banchetto insieme alle maggiori firme del paese, che: «Non c’è in America nulla che si possa chiamare stampa indipendente, tranne che nelle piccole città. Voi e io lo sappiamo. Non c’è uno di voi che osi mettere per iscritto le sue reali opinioni e se qualcuno di voi lo facesse sa già da prima che esse non verrebbero stampate … Il giornalista di New York è occupato a distruggere la verità, a mentire apertamente, a falsare, a diffamare, ad adulare ai piedi della ricchezza, a vendere la sua razza e il suo paese per il pane quotidiano. Voi sapete tutto ciò come lo so io e perciò è una follia fare un brindisi alla stampa indipendente. Noi siamo gli strumenti e i vassalli di ricchi personaggi che rimangono dietro le quinte. Noi siamo marionette, essi tirano i fili e noi danziamo. I nostri talenti, le nostre vite, sono proprietà di altri uomini. Siamo delle prostitute intellettuali.»

Alla feroce repressione dell’apparato statale si sommava il collaborazionismo di alcuni sindacati, come l’American Federation of Labor (AFL) di Samuel Gompers (1850-1924), sempre pronti a sacrificare l’unità di classe in nome di qualche piccolo beneficio per i propri iscritti. Senza il ruolo nefasto di organizzazioni come l’AFL non sarebbe stato possibile per il mondo industriale schiacciare sul nascere qualsiasi tentativo di creare un sindacalismo di classe.

Tuttavia sarebbe troppo semplicistico attribuire la sconfitta del movimento operaio negli Stati Uniti alla sola repressione del potere o al tradimento operato da alcuni sindacati. In Europa la violenza di stato contro il movimento dei lavoratori e il collaborazionismo di classe non sono stati certamente minori. Probabilmente a determinare l’incapacità del movimento dei lavoratori di riuscire ad incidere nella vita del paese è stata anche la mancanza di un referente politico in grado di conquistare il consenso di larghi strati della popolazione. Il Socialist Party of America di Gene Debs, forse la formazione politica più simile al leniniano partito di avanguardia mai apparsa nella storia americana,  non riuscì mai ad andare oltre il 7% raccolto alle presidenziali del 1912. Il movimento operaio statunitense ha sempre preferito appoggiarsi a strutture partitiche già esistenti come il Partito Democratico, piuttosto che cercare di costruire una piattaforma politica su basi di classe. Ciò lo ha condannato ad una subalternità politica e ideologica che ne ha inficiato anche le capacità di influire sulle condizioni di vita delle masse. Ad esempio, quando Truman dopo la guerra decise con l’appoggio dei monopoli economici di liquidare il New Deal di Roosevelt, introducendo alcune norme che limitavano il diritto di sciopero come il Taft-Hartley Act, la capacità del sindacato di opporsi fu pressoché nulla. Più recentemente quando l’amministrazione Obama ha deciso di salvare l’industria automobilistica di Detroit che nel 2008-2009 rischiava di scomparire, per venire incontro al governo, il sindacato dei metalmeccanici (United Auto Workers) ha accettato un brutale taglio dei salari. Oggi i nuovi assunti guadagnano circa la metà rispetto ai salari pre-crisi.

Inoltre in America il movimento operaio non è mai riuscito a strappare quelle rivendicazioni di stampo economico che hanno contribuito alla nascita del Welfare State in Europa. Il concetto di stato sociale negli Stati Uniti è una parola sconosciuta: una sanità di stampo universalistico, nonostante la riforma di Obama, a tutt’oggi non esiste così come la scuola pubblica mentre la Social Security, cioè la pensione di Stato, garantisce solo il 40% dell’ultimo reddito da lavoro ed il resto deve essere integrato da fondi  privati.

Per concludere, l’esperienza del movimento operaio americano rende ancora più valida la lezione di Lenin circa l’importanza del partito di avanguardia. Polemizzando contro le illusioni di stampo spontaneista il celebre rivoluzionario russo affermava che senza un’organizzazione politica in grado di organizzarla, la classe operaia da sola è capace tutt’al più di fare del «tradeunionismo», cioè di lottare per migliorare le proprie condizioni di vita, ma le è assolutamente impossibile trascendere il proprio orizzonte economico-corporativo e giungere ad un tipo di visione di stampo complessivo della società.

Oggi purtroppo, con la crisi degli stati e dei partiti che si ispiravano al pensiero di Marx e Lenin, le fantasticherie spontaneiste sembrano godere di una nuova giovinezza. Anche all’interno del movimento Occupy Wall Street, per esempio, sembrano farsi largo idee di stampo anarchico che rifiutano qualsiasi guida politica e confidano nell’iniziativa individuale dei militanti al di fuori di ogni struttura organizzata gerarchicamente. Questo tipo di pensiero sembra ignorare la lezione della storia che più di una volta ha dimostrato che la spinta propulsiva iniziale di un movimento non può durare in eterno e quindi in assenza di un’avanguardia politica in grado di organizzare i militanti su rivendicazioni di classe essi finiranno o per abbandonare la lotta oppure per attestarsi su posizioni di stampo riformistico. È quello che è già successo al movimento studentesco nel ’68 e a quello No Global.  Sarebbe un peccato che anche Occupy Wall Street facesse la stessa fine.



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