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L’altra DONNA DELLA DOMENICA

Creato il 19 settembre 2011 da Queenseptienna @queenseptienna

L’altra DONNA DELLA DOMENICAIo sarò anche una sentimentale, ma  sono affezionata alla Rai come concetto.

Pago puntualmente il canone e guardo tutti quei programmi (talk show, inchieste, approfondimenti e un TG che non è il TG1) dove si offre l’informazione più simile a quello che  definisco “servizio pubblico”.

Quanto all’intrattenimento, confesso di essermi imbesuita davanti al teatrino di X Factor, trovandolo (qualche volta) addirittura divertente.

Ogni tanto mi guardo persino “Chi l’ha visto”. Perché quando non indulge nello scoop di cronaca nera e resta “nel suo”, è un programma di servizio e fa uno sporco lavoro che altrimenti non farebbe nessuno.

La fiction no. Ammetto di non potercela fare. Non ho mai visto “La Squadra”, “Il tenente (o maresciallo?) Rocca” e nemmeno “La Piovra”. E quindi, Montalbano a parte (ben fatto, ben recitato e ben sceneggiato dallo stesso Camilleri) e le due puntate su Basaglia (amorevoli e toccanti) dovrei retrocedere di troppi anni, per parlare degli “sceneggiati”che andavano in onda la domenica  sera.

Grossi attori di teatro lavoravano per la Rai e sicuramente grandi (e rispettosi) sceneggiatori.

Nessuna apologia dei vecchi tempi, eh?… Anche perché, di recente, ho rivisto una puntata di Maigret con Gino Cervi e,  nonostante la sua incommensurabile recitazione, l’ho trovata di una noia mortale.

Sono cambiati i gusti degli spettatori.  I tempi di montaggio, la recitazione. E’ probabile che l’effetto Maigret sia estendibile a quasi tutti i vecchi sceneggiati televisivi, che oggi troveremmo enfatici, lunghi, lenti o addirittura infantili.

Però allora funzionavano. Li guardava sul serio tutt’Italia e incontravano i gusti degli spettatori più esigenti.

Perché erano prodotti di qualità.

Allora io mi chiedo: che cos’è successo nel frattempo?

E me lo chiedo perché  sono incorsa nell’indimenticabile adattamento televisivo de “La donna della domenica”, noirone  fulminante e corposo firmato da Fruttero&Lucentini nel 1972.

Il libro (a cominciare dal titolo) è un crescendo di sorprese e colpi di scena in cui, come nella migliore tradizione del giallo, risulta impossibile intuire la verità. I personaggi sono scavati, cesellati, verosimili, dalla psicologia complessa e affascinante. La scrittura è affilata come un bisturi. L’intreccio è impeccabile e originale; così come elegantissima e sottile è l’ironia con cui i due autori tratteggianoi vari ambienti. Soprattutto quello dell’alta borghesia torinese dei tempi.

Ho letto “la donna della domenica” subito dopo il mio compagno d’avventure e concordo con lui sul fatto che sia un capolavoro.  E non solo di genere.

Mosso da quel che ritengo essere puro sadismo (e che lui ha descritto invece come “interesse documentaristico”), Paolo ha registrato le due puntate della fiction andate in onda a primavera.

Le abbiamo viste con una sorta di crescente costernazione che, via via, ha preso corpo in un’accorata quanto vana domanda: “PERCHÉ?”

Perché far questo a due geniali costruttori di trame, a due pungenti giornalisti, a due VERI scrittori? Non ho mai visto il film di Comencini del ‘75 e dunque, nulla posso dirne.

Ma questa cosa qui, NO!

Perché far recitare il ruolo dei due protagonisti (sfaccettato, ambiguo, complesso e a tratti tormentato) alla solita bambolona ocheggiante e al tatone monoespressivo di turno? Troppo giovane, belloccio e inadeguato lui. Esageratamente vamp, fastidiosamente ammiccante e  scopertamente determinata a farselo, lei.

Perché non provare almeno a rispettare lo spirito della storia?  E dunque i conflitti e le fragilità di un rapporto inconfessato fino alle ultime righe?

Perché ridurre i personaggi di contorno (alcuni dei quali addirittura commoventi) a insulse macchiette?

Perché CAMBIARE una trama semplicemente perfetta per  farne un groviglio sgangherato che con il giallo non ha più niente a che vedere e, anzi, tende a un irritante color rosa confetto?

Perché sostituire la risata amarognola, il sarcasmo velenoso e le intricate situazioni grottesche, con una grossolana imitazione di comicità?

Perché, insomma, scomodare un grande classico, quando si sarebbero potuti ottenere gli stessi risultati con la sceneggiatura di un qualsiasi studente del DAMS?

E infine perché Carlo Fruttero ha  lasciato accadere tutto ciò?

Stimatissimo Maestro, mi auguro di cuore che la Rai abbia pagato molto bene i diritti del suo libro. Perché dubito che una simile parodia, le abbia offerto qualunque altro tipo di ritorno.

Mi auguro che il suo insigne compagno di scrittura non l’aspetti lì dove andremo tutti, per porgerle qualche comprensibile rimostranza.

E soprattutto mi auguro che la sera dell’11 e del 12 aprile scorsi, lei avesse molte cose da fare. Per esempio occuparsi del ficus del salotto, uscire a cena o a vedere un buon film, accogliere ospiti, portare fuori il cane o leggere l’oroscopo di tutti i suoi parenti e amici.

Qualunque attività, insomma, atta a tenerla lontano da Rai Uno. Compresa (alla peggio), quella di addormentarsi sul divano.

Cosa che a me, purtroppo, non è neppure riuscita.


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