Sostiene Tzvetan Todorov che ci sono due modi di ricordare quei fatti che hanno lasciato un segno nella memoria dei popoli: uno “letterario”, che consiste nel commemorare l’esperienza senza imparare nulla da essa, e uno “esemplare”, che permette all’esperienza di “illuminare” tanto il presente quanto il futuro, consentendoci di vedere i suoi nodi di causalità e le sue possibilità di ripetersi nel qui e nell’ora.
Gli eventi del ’73 in Cile non furono i primi né men che meno gli ultimi, in quella Pedagogia del Terrore imposta da un paese autodenominatosi L’America (appellativo che continuano a ripetere coloro che fanno finta di ignorare che America è un continente composto da 47 paesi), e che non ha fatto che ripetersi negli anni che seguirono.
Riaccendere la luce su quell’ignominia perpetrata allora contro un popolo indifeso, è parlare di una lunga scia inauguratasi allora e mai più sopita, che ha lasciato dei segni, ovunque, persino nel linguaggio di coloro che di quella storia non hanno memoria, visto che è allora che venne coniata una parola che avrebbe attraversato il mondo: Desaparecidos.
Parlare di questa memoria, oggi, e farlo in Italia, un mondo che racchiude tutti i mondi possibili, tutte le storie, tutte le geografie, con la loro carica di dolore, di speranza, di coraggio, equivale – per tornare all’assioma di Todorov – a tentare di riaccendere quella luce su una storia che appartiene a ciascuno di noi.