L’altruismo. Come nasce la motivazione ad aiutare chi ha bisogno

Da Fernanda Cosentino
Con il termine altruismo si indica un comportamento diretto ad aiutare un’altra persona, senza alcuna prospettiva di ricompensa personale per chi presta aiuto. La moderna psicologia evoluzionista sostiene che l’altruismo è parte integrante della natura umana; ciò non significa però che l’altruismo sia un comportamento inevitabile, poiché esso è influenzato da ciò che le persone vogliono fare e da quello che pensano di dover fare. Alcune volte, infatti, si sente di dover prestare aiuto, perché “é la cosa giusta da fare”; altre volte, invece, si pensa che sia meglio “badare ai fatti propri” o “lasciare che gli altri risolvano da soli i propri problemi”. 

Questi fattori sono influenzati anche da come si percepiscono le persone in difficoltà: a seconda di chi ha bisogno di aiuto e del perché ne ha bisogno, si può desiderare di aiutare, o perché dall’aiuto prestato otteniamo delle ricompense, o perché si prova empatia per la persona in difficoltà. Le persone sono più portate ad aiutare chi percepiscono come simile a loro (gli amici, più che gli sconosciuti), ma anche chi pensano non sia responsabile del suo stato di bisogno, come dire: “Lo aiuto, perché non è colpa sua!”. 
Aiutare qualcuno in difficoltà, può comportare dei benefici o ricompense, ma anche dei costi: tempo perduto, fatica, imbarazzo, denaro, disapprovazione sociale o pericolo fisico. Se tali costi appaiono eccessivi, anche se si riconosce la condizione di bisogno di una persona e ci sembra che questa meriti aiuto, questo non è dato. D’altra parte, però, l’altruismo offre numerose ricompense di tipo emotivo: fare del bene a qualcuno aiuta a sentirsi meglio, accresce la nostra autostima e ci mantiene di buon umore. Il modello del “sollievo dello stato d’animo negativo” sostiene, infatti, che le persone aiutano gli altri per alleviare i sentimenti di angoscia provocati in loro dalla sofferenza altrui. Il disagio personale motiva, dunque, l’aiuto: si aiutano cioè gli altri per non soffrire. Il modello dell’ “empatia-altruismo” sostiene, invece, che le persone aiutano gli altri perché provano sincera preoccupazione nei loro confronti, e quindi interesse empatico, e prestano aiuto, anche se potrebbero facilmente sottrarsi a tale situazione. In tal caso si presta aiuto, anche se non si ottengono ricompense.
E le persone che sono ricevono aiuto, come si sentono? Alcune volte esprimono gratitudine, soprattutto se l’aiuto ricevuto allevia sofferenze fisiche o stati di angoscia. Se, invece, si sentono in debito per ciò che hanno ricevuto, e non sono in grado di contraccambiare, allora possono reagire anche con l’avversione nei confronti di chi li ha aiutati.
L’altruismo nella società può essere accresciuto in diversi modi: 
  • rendendo chiari i bisogni (“Ti chiedo aiuto perché ho bisogno di... ”);
  • promuovendo nelle persone un concetto di sé basato sulla disponibilità ad aiutare (“Aiuto perché sono una persona altruista, e non perché riceverò qualcosa in cambio”);
  • favorendo l’identificazione e l’empatia con chi ha bisogno di aiuto (“Capisco quello che provi e ti aiuto”);
  • insegnando le norme che promuovono il comportamento altruistico (ad esempio in famiglia e a scuola);
  • mettendo a fuoco le responsabilità di ogni individuo per contrastare la diffusione di responsabilità (“Aiuto chi ha bisogno perché sono una persona altruista e responsabile, e non aspetto che lo facciano anche gli altri”).
Bibliografia: Psicologia sociale – Eliot R. Smith, Diane M. Mackie – Ed. Zanichelli, 2004

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