Avete ancora una parrucca biondo Carrà a portata di mano? Bene! Su Fralerighe si torna a parlare di ambientazioni, ma dopo avervi mostrato i luoghi, le persone e le tecnologie cosa manca? Tenetevi pronti, lo capirete in un baleno!
AVERE TUTTO A PORTATA DI MANO
Un’ambientazione che in grado di rispettare e mettere in relazione gli argomenti trattati finora (luoghi-personaggi-tecnologie) si può già utilizzare per costruire una storia: la sua struttura potrà animare uno o più intrecci senza problemi, ma alla lunga ci saranno per forza delle eccezioni e delle incongruenze.
La differenza sostanziale tra il dover disegnare un’ambientazione e portarla avanti attraverso le storie che la animano è il costante bisogno di “rendere vivo” ciò che si scrive.
Senza dare ai personaggi delle regole di comportamento e senza mettere dei paletti su ciò che si può dire e su ciò che si può fare, quegli stessi personaggi potrebbero vanificare il lavoro fatto finora, facendoci incappare in errori madornali del contesto o peggio, nei dialoghi.
Creare un contesto è il primo passo per legare i vari aspetti dell’ambientazione in qualcosa di più raffinato e rapidamente fruibile. Se volessimo fare un paragone, gli aspetti visti finora sono i mattoni della nostra ambientazione, creare un contesto cementa insieme quegli stessi aspetti e li blocca in posizione per permetterci di poter costruire qualcosa in più, ovvero il nostro intreccio.
I modi di dire dei nostri personaggi dovranno quindi essere codificati in modo da non creare incongruenze e ovviamente sarà nostra cura renderli parte dei tipi di personaggi che andremo ad utilizzare.
Per quanto la nostra ambientazione sia pronta e ben strutturata è compito nostro dare una regola a ciò che stiamo scrivendo, banalmente non si può pretendere che un giapponese conosca il significato di “tarallucci e vino”. Quindi non scrivetelo, se non volete che vada… beh, avete capito!
Un aspetto molto più complesso e strutturato sono le tradizioni che alimentano le società della nostra ambientazione, se infatti parliamo di un mondo dove c’è un élite guerriera al potere è normale aspettarsi dimostrazioni di forza fisica o rituali particolari per approdare all’età adulta.
Le tradizioni sono dunque un mezzo per creare un contesto, ma forniscono anche delle regole di base da cui costruire dei modi di dire e delle azioni che rendono automatica buona parte delle problematiche relative al contestualizzare una storia. Inoltre le tradizioni si ricollegano al resto dell’ambientazione come i modi di dire, con l’unica differenza che alcune tradizioni saranno legate anche al luogo dove sono nate o alle tecnologie che le hanno rese possibili.
Tenerne presente nella stesura dell’ambientazione consente alle tradizioni di essere parte integrante della creazione delle storie, limitando la possibilità di incorrere in incongruenze tra diversi intrecci, ma anche tra un capitolo e l’altro.
I CANTI DI MUAD’DIB
Per tutti coloro che conoscono Muad’Dib…beh non si poteva parlare di tradizioni e modi di dire senza interpellarlo. Per tutti gli altri, sappiate che in qualche modo dovete procurarvi il primo volume della saga di Dune! Ora!
Frank Herbert non è famoso per la ventina di altri libri scritti, ma per aver creato un vero e proprio universo formato tascabile (neanche tanto dato il numero di pagine), il pregio più grande di Dune è infatti la sua completezza.
Herbert costruisce un’ambientazione strutturata, la cui tecnologia fondante è la spezia (o Melange), partendo da questa colonna portante l’autore crea un vero e proprio impero i cui pianeti sono i luoghi dell’ambientazione e di seguito dà vita a una serie di figure, come i piloti della Gilda o le sacerdotesse Bene Gesserit che vanno a formare vere e proprie classi di personaggi indipendenti tra loro, ma legate ancora una volta alla spezia.
Fin qui, tutto bene. Ciò che cambia Dune è un profondo e radicato filo conduttore che racchiude ogni altro aspetto dell’ambientazione: il misticismo.
Proprio quel collante di cui parlavamo prima, guida le varie parti dell’ambientazione. Sono le leggende dei fremen sul messia, i racconti sui vermi delle sabbie e la profezia delle Bene Gesserit ad alimentare una storia nella storia, capace di rendere l’ambientazione così viva e in grado di fare da sola la fortuna del primo capitolo della serie.
La stessa cosa succede per i modi di dire e per la profonda dipendenza dell’universo descritto dall’unico punto di riferimento dato al lettore. Se è vero che Dune (o se preferite, Arrakis) è un mondo spoglio e inospitale, non è raro imbattersi in vocaboli e definizioni che creano un vero e proprio dialetto, sia per gli innumerevoli modi di chiamare l’acqua che per tutto il resto, tanto da essere necessario un vero e proprio compendio per districarsi nell’infinità di termini indicati dai personaggi all’interno dei vari romanzi.
Come dicevamo prima, Herbert disegna una storia nella storia: Dune non è tanto romanzo o ciclo, quanto ambientazione. A differenza della stragrande maggioranza delle altre ambientazioni del fantastico, quella di Dune è de facto un romanzo fine a se stesso e raggiunge la sua completezza ancor prima di fungere da base per un intreccio.
Le idee alla base dell’opera di Herbert sono quindi il trampolino di lancio per i sei romanzi che compongono il ciclo originale e per altre opere derivate scritte in seguito dal figlio Brian (Preludio a Dune). Rimarcando quindi la grandiosità e la completezza di un’ambientazione in grado di alimentare un universo che dal ’65 a oggi non ha mai trovato rivali dal punto di vista della complessità.
Anche per questa volta è tutto, alla prossima puntata!
Davide Zampatori