Decine di migliaia di persone sono scese in piazza a Parigi nel week-end contro la decisione del governo e del presidente Hollande di ratificare il fiscal compact e contro la manovra per il rientro del deficit. Manovra, va detto, decisamente più “equa” delle omologhe leggi finanziarie dei paesi deboli, ma per sempre improntata al rispetto dei vincoli di bilancio dettati dalle vecchie e nuove regole europee. Accanto a ciò, lo spettro di una prossima riforma deregolamentatrice del mercato del lavoro.
Sempre nel fine settimana l’SPD, il partito socialdemocratico tedesco, ha scelto Peer Steinbrück quale avversario della cancelliera Merkel alle prossime elezioni politiche nel 2013. Steinbrück è stato ministro delle finanze nel primo governo Merkel (un governo di “grande coalizione”) ed è passato alle cronache in quell’occasione come un “falco”. Già sostenitore dell’Agenda 2010 di Schroeder, alla base della politica salariale ipercompetitiva della Germania che è la principale causa degli squilibri dell’eurozona all’origine della crisi dell’euro, Steinbrück è l’estensore della Schuldenbremse, la legge che ha imposto il pareggio di bilancio nella Costituzione tedesca che ora, attraverso il fiscal compact, i tedeschi hanno imposto a tutta l’Europa. Per avere un’idea del personaggio, basta ricordare, come fa Social-europe.eu (un sito peraltro molto vicino ai socialisti europei) che nel 2008 Steinbrück, allora ministro delle finanze, accusò il premier laburista inglese Gordon Brown di “crasso keynesismo” poiché, con un po’ di buon senso, aveva usato la spesa pubblica in senso anticiclico. A proposito invece della manovra di Hollande, sempre lo stesso sito la definisce “né giusta né efficace“
Sempre un tedesco, Martin Schulz, sarà probabilmente il candidato del partito socialista europeo alla carica di presidente della commissione europea. Schultz non è un “falco” come Steinbrück, eppure in passato ha mostrato una certa ritrosia verso le riforme estremamente urgenti per risolvere la crisi dell’euro. Né il documento sull’economia approvato dal congresso del PSE va oltre enunciazioni vaghe sull’esigenza di una “Europa sociale”.
A tutto ciò si aggiunge la proposta avanzata dai laburisti inglesi di Ed Miliband di congelare le paghe dei lavoratori pubblichi (facili da colpire essendo direttamente alle dipendenze dello stato) che incontra le resistenze dei sindacati.
Sembra così riproporsi il quadro degli anni ’90: le forze socialiste, all’epoca alla guida di quasi tutti i paesi europei, attuarono politiche di matrice liberista (privatizzazioni, deregulation del mercato del lavoro), e si iniziò così a parlare di “social-liberismo”. Lo spirito di Tony Blair, insomma, appare tutt’altro che superato e, nonostante le buone intenzioni di molti, il socialismo europeo si trova ancora nel gorgo delle contraddizioni tra la propria storia recente e la necessità di un paradigma progressista alternativo.
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