Riprendiamo il discorso sul recente accordo tra Usa ed Iran dal punto dove lo ha lasciato Gianfranco La Grassa (qui http://www.conflittiestrategie.it/sul-mondo-bipolare-e-la-sua-pace-di-glg-6-aprile-15). Riporto interamente il paragrafo finale dell’intervento, perché racchiude il cuore della sua previsione, che non è di sicuro campata in aria come quelle dei nostri professori di sventura con la smania d’impressionare il pubblico degli horror talk show dove sono ospiti fissi, ma riveniente da un’analisi accurata delle dinamiche storiche e dello sviluppo dei rapporti di forza tra potenze, in questa fase non perfettamente multipolare in cui la predominanza Usa (in pur relativo declino) è ancora assolutamente indiscutibile (anche qui vi rimando ad un altro recente scritto di La Grassa, piuttosto esplicativo, intitolato “La Russia nel multilateralismo” http://www.conflittiestrategie.it/la-russia-nel-multilateralismo).
Ecco il pensiero di La Grassa: “Gli Usa non sono in situazione di supremazia lentamente crescente nell’apparente “equilibrio tra due”, bensì vedono accentuarsi, sempre con lenta progressione e molte cautele, l’antagonismo russo. Si accresce pure un disordine via via più manifesto nell’insieme dell’area per loro cruciale (europea). Dove, non a caso, vi sono organismi politici che, sia pure ancora troppo timidamente, alzano i toni contro le prevaricazioni e la predominanza statunitensi. Per gli Usa è necessario indebolirli e creare in tutte le aree, dove può svilupparsi l’antagonismo russo o l’affermarsi di subpotenze, il massimo disordine possibile. Per intanto si promuove il caos – ma programmato, non poi tanto casuale! – e poi si dovrà intervenire più direttamente (ma sempre subdolamente e magari per “interposta forza”) in aree in grado di impegnare la Russia in contrasti difensivi. E’ indubbio che gli Usa sono attualmente all’offensiva. Tuttavia, è un’offensiva che richiede un certo affanno, un affrontare situazioni impreviste, un mettere nel conto insuccessi o lo sfuggire di mano di dati processi. Non più il lento ma sicuro sgretolarsi e poi affondare dell’Urss, bensì una crescita della forza di attuali o potenziali antagonisti e l’incertezza circa l’andamento dei processi in pieno svolgimento”.
Gli Usa, dopo aver finto che il problema principale fosse la proiezione della Cina nell’area del Pacifico, mostrando astuto disinteresse per le faccende europee, sono usciti definitivamente allo scoperto con il golpe in Ucraina. La vera preoccupazione di Washington, come da tempo scrivevamo, è la geopolitica di Mosca ed il suo ricostituito apparato militare. Le interferenze del Cremlino, cresciute negli ultimi due lustri, tanto nel vecchio continente che in medio-oriente, devono essere limitate o persino spente sul nascere. Alcune cose oggi, pertanto, risultano più chiare di ieri: la Casa Bianca sta modificando gli equilibri in alcune zone calde del pianeta (pensate alle primavere arabe contro regimi amici ma oramai obsoleti perché legati ad una precedente fase politica e alle ingerenze nei paesi ex satelliti dell’URSS) per accordarli ad una diversa strategia di contenimento in corso di elaborazione e di applicazione. Qualcuno ha definito queste azioni piuttosto caotiche, ma anche il caos, ancorché foriero di rischi imprevedibili, può essere programmato e successivamente governato con interventi più decisi e diretti.
George Friedman sintetizza bene la strategia americana in Medio-oriente e la “rilevanza” dell’accordo con l’Iran che ne suggella gli indirizzi: “La strategia americana è … complessa …gli Stati Uniti hanno intrapreso una strategia focalizzata sul mantenimento dell’equilibrio di potere. Questo tipo di approccio è sempre disordinato perché l’obiettivo non è quello di sostenere alcun potere particolare, ma di mantenere un equilibrio tra le diverse potenze. Pertanto, gli Stati Uniti stanno fornendo intelligence e obiettivi di missione alla coalizione saudita contro al-Houthi e i suoi alleati iraniani. In Iraq, gli Stati Uniti stanno fornendo il supporto agli sciiti – e, per estensione, ai loro alleati – bombardando installazioni dello stato islamico. In Siria, la strategia degli Stati Uniti è così complessa che sfida qualsiasi spiegazione chiara…. Gli Stati Uniti si oppongono all’ Iran in un teatro e lo sostengono in un altro [vedi appunto accordi sul nucleare]“.
L’unica certezza è che anche questo accordo però ha una preponderante funzione antirussa. La Russia è ritornata ad essere la vera ossessione di Washington, non perché costituisca un pericolo in sé, in questo momento, ma perché essa forma nuove alleanze antiamericane che, in prospettiva, insedieranno il primato geopolitico della Casa Bianca. L’attivismo di Mosca in Medio-oriente ha già indispettito e non poco lo Zio Sam. Ricordiamo che Putin mantiene due basi navali strategiche in Siria e triangola con Damasco e Teheran nella gestione dei recenti avvenimenti, estremismo islamico incluso. Con la riapertura del dialogo sul nucleare Obama ha voluto spezzare, o almeno rendere meno agevole, tale triangolazione. Washington sta giocando le sue carte e spetta a Mosca replicare. Ucraina e Iran restano, comunque, due colpi ben assestati che i russi non sono riusciti a schivare, anche se hanno limitato i danni.
Il fil rouge che, agli occhi degli Usa, lega Teheran a Kiev è quello energetico. Presto, con la sospensione delle sanzioni nei confronti degli sciiti il petrolio iraniano tornerà disponibile sul mercato. Ciò dovrebbe consentire di mantenere i prezzi del greggio ancora bassi, a prescindere dalle decisioni dei sauditi, e di colpire ancora il rublo. Secondo Washington ciò rappresenta un problema per Mosca che ha fondato sullo smercio di oro nero e blu gran parte della sua economia. I russi hanno già dimostrato di saper reagire a queste provocazioni ma sulla convinzione opposta scommettono gli americani, sicuri di depotenziare la spinta commerciale dei rivali sul lungo periodo. L’Iran potrebbe scaricare sulle piazze internazionali 35 milioni di barili di greggio già stoccati, qualora cadessero i provvedimenti restrittivi nei suoi confronti. Gli statunitensi contano anche sulle riserve di gas iraniano, le seconde al mondo dopo quelle russe, che potrebbero essere utilizzate, in combinazione con i rifornimenti dall’Azerbaijan e dal Turkmenistan, per sganciare l’Europa dalla dipendenza energetica dalla Russia. In ogni caso, i vertici statunitensi stanno pilotando le politiche energetiche europee, dimostrando che la sovranità dell’Ue è una mera utopia, spingendo per la costruzione di impianti di rigassificazione, soprattutto nei paesi baltici, ed ora anche in Ucraina, per accogliere il loro gas e quello di altri alleati occidentali (anche nuovi, chi ha orecchie per intendere…). L’Europa pagherà i costi più alti di questa scelte, ma quando sono gli Usa ad imporre l’agenda, stranamente i vincoli di bilancio e il contenimento delle spese divengono questioni da derubricare per superiori motivazioni politiche. La politica torna ad avere la supremazia sull’economia, smentendo fior di accademici e di giornalisti servili, quando è il padrone a decidere la priorità delle opzioni. Insomma, Washington sta cercando di scacciare Mosca dai teatri dove si è “impropriamente” allungata, sfidando la predominanza americana, ed è all’attacco, come scrive La Grassa, anche nelle immediate vicinanze della sfera egemonica russa. Non è detto che riesca a prevalere, anzi, probabilmente non ci riuscirà, perché i suoi avversari si sono rafforzati abbastanza da poter adesso resistere e domani contrattaccare. Saranno anni difficili ma non c’è da drammatizzare, il peggio o il meglio, non dubitatene, deve ancora venire…