Solo un paio di giorni fa gli Stati Uniti commemoravano l’11° anniversario degli attacchi dell’11 settembre, mentre noi sui social network giocavamo a ricordare (come ogni anno dal 2002 ad oggi durante quel giorno) dove eravamo in quei momenti, cosa stavamo facendo. E intanto Obama affermava che “Le vittime dell’11 settembre rimarranno sempre nei nostri cuori perché il loro sacrificio ci ha aiutato a far sorgere una America piu’ forte, colpendo duramente Al Qaeda attraverso l’uccisione di Bin Laden e creando cosi’ un mondo piu’ sicuro”.
Poi, a nemmeno un giorno da quelle commemorazioni e da quelle dichiarazioni, l’America si è scoperta ancora sotto attacco. Nuovamente colpita, proprio quando i ricordi di undici anni prima venivano riportati in superficie e la cicatrice per un po’ è tornata a fare più male. E proprio quando, dopo un giorno di stop, la campagna elettorale si era rimessa in moto Obama si è visto costretto ad alzare l’allerta in tutte le sedi diplomatiche americane, richiamando alla memoria quello stato di tensione e minaccia a cui l’era Bush ci aveva abituati. Ma, probabilmente, e più importante, è l’essere chiamato a spiegare alla nazione di cui è capo il “perché“.
Perché solo l’altro giorno lui e l’America si facevano forza nel pensare ad un paese, ad un mondo più sicuro senza Bin Laden grazie al sacrificio dei tremila morti degli attentati (senza contare il numero di perdite conseguenti alla guerra al terrore) e invece ora, di colpo, tutto ripiomba nell’incertezza con la sensazione che lo sforzo sia stato vano?
Forse perché la visione è un po’ troppo americocentrica. Certo, gli Stati Uniti sono più sicuri oggi, e pure l’Europa (dopo Londra e Madrid) sotto il fronte del terrorismo è rimasta tranquilla. Ma Europa e Stati Uniti non sono il Mondo. Sono una parte di esso.