Magazine Diario personale

L’amica di Olaf

Da Maddalena_pr

E LA PUNTA BASSA DEL CUORE SI ARRICCIA ALL’INSÙ COME LA BOCCA DI CHI SORRIDE.

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Dicevano alle 8.
Sono andata a dormire col cuore che lampeggiava come le luci di posizione. Ero più eccitata che a Natale: Domani nevica, domani nevica!
Quando mi sono svegliata filtrava un piccolo chiarore tra le imposte, bastava solo a dirmi che era mattino. Zompetto fuori, raggiungo la prima finestra rimasta nuda nella notte: a terra un mosaico di foglie secche, le betulle bianche e nere non dicono nulla, il prato è lo stesso di ieri, ingiallito come un vecchio libro aperto. Aspetta. E invece avevano ragione: pollini bianchi si diffondono nell’aria, scendono col loro sapere che insegna la calma. S’inseguono senza gara. Ci vorrà solo un po’, anche il prato si consegnerà, il vecchio libro aperto tacerà, le mie betulle, i pini, pigne sparse con aghi caduti resisteranno per un pugno di tempo. Poi, sarà neve.

“Psst, Patrick, svegliati, nevica, nevica!”
Sono entrata piano nella sua stanza, è stato il mio primo pensiero: lui, impaziente, insofferente all’attesa, alle imperfezioni. Lui e io, lo stesso fremito.
Era la sola cosa in grado di farmi scattare su, come un soldato, ai tempi della scuola: affondata in quel piumone color caffelatte, viene mio padre, mi tocca la spalla, la scuote piano: “Nevica!” Diceva una sola parola, soltanto quella. Tiravo su una spanna di tapparella, ed ero felice.
Sarah si è sollevata su un gomito, l’avrei lasciata dormire, invece si è accesa anche lei, torniamo alla finestra dove facevo vedetta cinque minuti prima. Poi Isabelle: Isa, guarda, questa è la neve!

Fuori il prato si abbandona, Sarah vuole fare un pupazzo, non le è chiaro che bisogna aspettare ancora. A Isabelle non è chiaro cosa scenda dal cielo: “Pove” commenta. Non abbiamo tute da neve, scarponi, nulla. Siamo biscotti pronti all’inzuppo.

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La Isa sta piantata lì dove l’ho messa: le ho fatto fare due passi qui fuori, appena le ho lasciato la presa è rimasta immobile, un cespuglio col suo berretto lilla legato sotto il mento. Non capisce che può muoversi, scopre che questa grande magia della neve è acqua travestita, e pure gelata. La prendi, la tocchi, e quella sparisce senza un perché: è fuffa. Patrick si è già incacchiato: “Non mi avete aspettato!” E poi non riesce a fare le palle di neve, non la schiaccia abbastanza, lancia le sue deboli munizioni e quella si decompone in aria, senza raggiungere nessun bersaglio.

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Il pomeriggio va meglio. Lui resta dentro: “Non mi piace quando nevica.” Ma come?
“Be’, ma mica bisogna star fuori per forza, il bello della neve è anche guardarla.”
Invece io esco con gli altri, lui guarda dal bow window le sorelle scendere in bob col papà: Isabelle non ha più soggezione di questo mistero bianco, ora guada il prato in lungo e in largo, ride sulla slitta, Mathias le tira e a volte se ne perde una, rotola durante la corsa.

E finalmente c’è tutto quello che serve per il pupazzo: aghetti per le sopracciglia, due pignette per occhi, una pigna più lunga per il naso (carote non ne abbiamo, la zucchina verde non ci convinceva e le pere scelte da Sarah serviranno a fargli le tette fra due giorni: ebbene sì, trattasi di pupazzo femmina, dice, ora ha 10 anni, ma fra due giorni sarà donna. Così pare.)
Due rami per le braccia: “Mamma, lascia i rametti al fondo, che servono per le dita.”
Poi giri dietro il pupazzo e scopri che, magicamente, di braccia ne ha almeno sei, gli escono anche dal sedere. Piccole riproduzioni frutto del contributo di Isabelle.

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La sera me la prendo sulle ginocchia, e ci mettiamo a parlare di lui lei: “Isa, abbiamo fatto il pupazzo oggi, vero?”
– … pazzo.
– E gli abbiamo messo le braccia, papà gli ha messo un cappello.
– Hmm, sì, papà! Ppello.

La neve e i bambini si somigliano: piccole enormità che trasformano l’ordinario. Averli insieme deforma il cuore: c’è la mia infanzia, dentro, adesso, insieme alla loro. E la punta bassa del cuore si arriccia all’insù come la bocca di chi sorride.
Il pupazzo si chiama Olaffa (versione femminile di Olaf), diventa subito amico fidato. Ogni tanto si va a controllare dalla finestra che stia bene e non sia scappato. Oggi l’abbiamo trovato un po’ ubriaco, storto da un lato. Ma è ancora lì. Non ci resta che aspettare domani: dicono che nevicherà ancora. Lo troveremo ingrassato: magari non serviranno nemmeno le pere…

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