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L'amore di Filù

Da Fiaba


Venerdì 13 Aprile 2012 13:11 Scritto da Marco Ernst

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C’è un piccolo bosco, in Trentino, che è ancora oggi abitato da una razza di gnomi.

Negli altri boschi, purtroppo, specie affini si sono estinte a causa del disboscamento o del turismo, quindi potremmo considerare questi gnomi di montagna una specie protetta, solo che né il WWF, né alcun altro conosce la loro esistenza.

So che non mi crederete: perché mai nessuno li ha visti, se veramente esistono, vi domanderete? La risposta è semplice: per continuare ad esistere i pochi sopravvissuti devono tenersi nascosti, così da non fare la fine dei loro simili liguri, lombardi, silani eccetera.

Ogni tanto qualcuno, è vero, afferma di averli veduti, ma, fortunatamente, nessuno gli crede e, spesso, lo intervistano in televisione come si fa con un mentecatto innocuo e, tutto sommato, simpatico e divertente.

Oltretutto questa è una specie di gnomi molto piccola, proprio di quelli così minuti da abitare dentro i funghi, che non crediate sia una bella cosa: sono dimore umide, il che non è un bene per chi ha centinaia di anni, e, a volte, le loro case vengono raccolte dai cercatori di funghi, professionisti o dilettanti che siano e, di sovente, mangiate con loro ancora all’interno! Così molti si sono adattati a vivere dentro funghi velenosi, in modo da non essere molestati dai fungaioli della domenica.

I più ricchi prediligono l’Amanita muscaria, così elegante col suo bel tetto rosso punteggiato di bianco, altri si contentano delle Amanita phalloides o verna, un po’ più smunte nei colori.

Un gruppo di una setta deviante ha preso dimora nei Boletus satanas e, i più poveri, si sono dovuti accontentare di un fungaccio chiamato “fetidus”, per le cui scale e ballatoi ristagna sempre odore di minestrone rancido e che ha un solo servizio in comune per tutti gli gnomi condomini: meno male che il bosco garantisce un po’ di privacy a chi vuole espletare certe funzioni all’aperto.

Sento che ci sono ancore molti scettici che non si fidano di quanto sto dicendo: provate allora ad andare in quel bosco (anche se non vi dirò mai dove si trova, poiché sono un ecologista) e sedervi su di un masso o un tronco abbattuto per fare merenda: spesso vi spariranno briciole di cioccolato, di cui loro sono ghiotti, o di pane o un mezzo biscotto che, per uno gnomo, vuol dire fare colazione per una settimana.

A volte si mettono insieme per fare degli scherzi ai cittadini che invadono il loro habitat, per cui una ventina di loro potrebbe farvi sparire la roncola pieghevole con lo stemma del trentino impresso a fuoco che avevate appena comperato in paese: avrete del bello e del buono a cercare “...dove diavolo sarà scivolata: era qui adesso?”: non la ritroverete mai più, ma se il vostro orecchio fosse allenato ai rumori della natura, potreste sentire i flebili risolini degli gnomi.

Ora che ve li ho presentati, che ve li ho descritti e raccontato delle loro abitudini, voglio narrarvi di uno di loro in particolare: il suo nome è Filù. Filù è un giovane gnomo, giovane per i tempi gnomeschi, visto che ha circa trecento anni.

Come tutti i giovani, lui vive una vita spensierata ed è sempre alla ricerca di una fidanzata. Un giorno, durante una delle sue peregrinazioni nel bosco, era in giro dalla mattina ed aveva già fatto almeno centocinquanta metri dall’alta Lepiota dell’istituto funghi popolari in cui viveva coi genitori e quattordici fratelli maggiori, vide quella che, aveva deciso, sarebbe stata la compagna della sua vita: una meravigliosa farfalla ballerina.

Non era la prima volta che Filù vedeva delle farfalle, ma erano quasi sempre cavolaie bianche, volgari e sguaiate, per non parlare delle lucciole che girano solo di notte pronte ad accendersi per il primo che passa! Questa era diversa: innanzitutto i colori; era gialla striata di nero con le antenne rosso vivo ed era talmente delicata che pareva che le sue ali fossero state lavorate al tombolo dalle esperte dita delle anziane gnome artigiane del pizzo.

Ma soprattutto, non appena c’era una bava di vento e gli steli d’erba si mettevano a suonare all’unisono la loro melodia dolcissima, lei si esibiva in balletti dotati di una grazia che Filù mai aveva visto nella sua breve vita.

Vederla danzare ed innamorarsene fu tutt’uno. Corse a casa a riferirlo alla madre e questa lo ammonì subito: “Filù, sei proprio certo della tua scelta? Guarda che questi amori con specie diverse non sono mai fortunati: e poi cosa sappiamo di lei? Da dove viene, qual è la sua famiglia? Ed infine ricordati che noi gnomi siamo monogami e possiamo amare una sola volta nella vita e se lei non vivesse quanto noi, tu poi che faresti?”.

Ovviamente di tutte le sagge è un poco ansiose raccomandazioni della madre, Filù non ascoltò quasi nulla: era troppo felice, troppo innamorato; spesso gli veniva da piangere al solo pensare alla sua ballerina. Non appena la vedeva gli cominciava ad accelerare il cuore fino a che gli sembrava che questo sarebbe schizzato dal petto per correre più velocemente di lui all’appuntamento con l’amata che poteva già scorgere danzare in fondo alla radura.

Più volte aveva raccolto per lei mazzi di polline che aveva deposto ai suoi piedi come corbeille quale omaggio alla sua bellezza ed alla sua arte.

Così passavano i giorni, e un po’ tutto il bosco era in fermento per quell’amore così passionale che eccitava e commuoveva tutte le creature che vi dimoravano.

Passavano i giorni, dicevamo, che, per uno gnomo sono un tempo minimo, ma per una farfalla sono un’eternità, e così la ballerina invecchiava e, a causa dell’umidità del bosco, era piena di dolori. Si sentiva vecchia, troppo vecchia per danzare, troppo vecchia anche per amare.

Oramai trascorreva gran parte delle sue giornate posata sulla corolla di un fiore in uno spazio aperto, così che il sole scaldasse le sue articolazioni doloranti, a quasi mezzo chilometro dalla casa fungo di Filù, cosa che costringeva il povero gnomo ad ore di cammino per arrivare all’appuntamento con la sua amata.

Lei non ballava più, ma il suo fisico era rimasto snello come quando era giovane, il sole che traspariva dai ricami delle sue ali creava stupendi arabeschi e lui l’amava come e più di prima: il contemplarla, anche da ferma, riempiva il suo cuore di gioia.

Lo gnomo si sedeva su di un sassolino di fronte al fiore e le raccontava delle sue giornate, delle novità del bosco, di tutti gli animaletti che vi erano nati nelle ultime ore.

Lei sospirava ed ascoltava la voce, o almeno il suo suono, dato che non capiva il significato delle parole, accompagnato dalla melodia del vento fra l’erba.

Era passato un mese dal loro primo incontro, e la farfalla era vecchia, stanca, molto stanca; la trovarono una mattina a terra, sotto il suo fiore, le ali ripiegate e lei oramai immobile, ma con un sorriso di serenità che la illuminava come quando era giovane, felice e innamorata.

Filù pianse a lungo, credette che avrebbe pianto per gli altri settecento anni che gli restavano da vivere. A fatica trascinò una foglia e la ricoprì come con un sudario: era il suo ultimo dono a colei che aveva tanto amato; ora non avrebbe potuto amare mai più, la madre lo aveva avvertito, ma le mamme, si sa, quando si è innamorati, non si ascoltano mai.

Venne la fine dell’estate e scese prima l’autunno e poi l’inverno e queste stagioni scesero anche nel cuore di Filù: avrebbe voluto morire, raggiungere la sua amata e con lei danzare per sempre i walzer più belli.

Ma il tempo è una gran medicina, anche se a volte crudele, e ti porta una cura che si chiama rassegnazione. Così passarono i mesi più freddi e tristi e ritornò alfine la primavera.

Nei prati attorno al bosco e nelle radure all’interno di esso cominciarono a comparire le prime farfalle, miracolosa metamorfosi di larve che avevano dormito per quasi metà anno.

Filù al vederle si sentì battere il cuore di emozione e di rimpianto.

Poi un giorno le vide, vide quelle cinque farfalline giovani gialle e nere, con le antenne scarlatte, solo che queste avevano anche un ciuffo di capelli rossi, rossi proprio come quelli di Filù.



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