Proprio perché materia viva di un atto immaginifico, l'amore con cui creiamo l'Altro è il luogo del tradimento per eccellenza, anzitutto di noi stessi, perché lì, più che altrove, riponiamo tutte le nostre più intime e fantasiose, inconsce, aspettative (spesso a dispetto di qualsiasi concretezza reale) che inevitabilmente saranno in qualche modo tradite, perché l'Altro che vorremmo non esiste… mai!
L’Altro che vorremmo è sempre e solo una nostra proiezione con cui siamo chiamati, giorno dopo giorno, a mediare, a rimediare. L'amore è, cioè, il luogo in cui, almeno per un certo periodo e fino a numerose prove contrarie, siamo disposti a credere profondamente nell'Altro e ad arrabattarci con lui per concretare la profezia del “vissero felici e contenti” e, per questo, è luogo carico di simboli, di rappresentazioni, di creazioni, di magiche e bellissime illusioni, in una parola di "artifici". Se così non fosse, se dovessimo estrarre quella cosa che chiamiamo amore dalla sua intima essenza artificiale pregna di simboli dalle ridondanze polisemiche, probabilmente quella cosa che chiamiamo amore davvero non esisterebbe, poiché la sua natura si manifesta proprio nella simulazione: della poesia, dell'arte, della letteratura, nella finzione dell'immaginario che è propria dell'umano (anche quando non sa di esercitarla), mentre fuori da queste metafisiche mura non lascia che la sua bruta riproduttività meccanicistica. Ci innamoriamo dell'Altro perché in lui e di lui facciamo la nostra più sublime opera in cui incarnare, consapevolmente o meno, tutto ciò che a noi manca. E tanto più saremo abili pittori, poeti, scultori, narratori, tanto più il nostro amore si farà operoso e reggerà al tempo e alle intemperie. Vale a dire che, quanto più saremo abili a inventarci l'Altro, e quanto più l'Altro sarà disposto a farsi inventare, indossando la maschera che per lui abbiamo preparato, tanto più il nostro amore avrà la forza di rigenerarsi, inventandosi, giorno dopo giorno, la bella e artificiosa favola del vissero felici e contenti.Oggi, più che mai, perduti tutti i vincoli sociali e culturali che costringevano l'amore a tenere le briglie, gli amanti devono imparare a galoppare tra le terzine dei versi poetici, tra i segni dei pennelli che animano la tela, tra i colpi di scalpello che danno vita alla pietra. Lì, tra quei versi, dietro quei segni, sotto quei colpi, nascerà e rinascerà ogni giorno il loro amore.