Paolo Rossi è ritornato sul palcoscenico del Piccolo Teatro di Milano per presentare, con la sua voce un po’ rauca e strascicata, L’Amore è un cane blu. E in scena compare veramente il cane blu, il simpatico protagonista di una leggenda carisca innamorato della bora: il comico infatti si è fatto accompagnare in scena da un simpatico bastardino.
L’umorismo di Rossi è come sempre una lama tagliente che non risparmia il marcio della società, ma quest’anno si è velata di malinconia per cantare la perdita del coraggio di una società italiana incapace di continuare a sperare e di rialzarsi. E quando la colpa non è di un uomo solo o di un partito ma dell’intera collettività, un comico come Rossi non può che appellarsi alla tragedia greca, imbastardendola però con il Wester e le leggende del Carso, la sua terra. Gli artisti non possono che rispecchiare la tristezza di questi tempi di crisi ma niente paura, non c’è ragione per rinunciare all’ironia che non solo consola e rallegra, ma svela le contraddizioni della nostra epoca e ci sprona a lottare.
Il filone narrativo conduttore è l’Alcesti, che presto si trasforma in un epico vagare alla ricerca della soluzione per raggiungere gli inferi, ma le parole di Rossi proseguono lungo una strada piena di curve e di bivi, di excursus, frecciatine e battute che spesso rievocavano le produzioni del passato di Rossi e non tradiscono la sua anima giullaresca. Forse è per rivolgersi ad un pubblico moderno che il cantastorie gioca ad indossare i panni del regista, fingendo che lo spettacolo consistesse nelle prove per un film. Vengono dunque proiettati sulla scena dei simpatici titoli di testa e delle diapositive, in perfetto stile Power Point, delle locations carsiche in cui si svolgerebbero le ipotetiche riprese. Nel corso delle prove il pubblico ha potuto interagire con gli attori proprio come nelle altre produzioni del passato (per esempio in data 4 ottobre, serata in cui mi sono recata allo Streheler, una donna ha emesso degli ululati per un minutino abbondante, offrendo a Rossi l’opportunità di divertirci con le sue simpatiche improvvisazioni), ma le modalità con cui è stato chiamato a partecipare allo spettacolo sono state differenti: nel corso dell’intervallo Rossi ha inscenato un simpatico chasting per gli attori del film, invitando tutti a iscriversi in un registro, farsi fotografare insieme a lui e mangiare l’immancabile spaghettata.
La modernità dei contenuti si è fusa con la tradizione attraverso le note dell’orchestra di musiche balcaniche I virtuosi del carso composta da cinque musicisti travestiti da cow boy: Stefano Bembi alla fisarmonica, Denis Beganovic ai fiati e da una contrabbassista e cantante che, con la sua voce calda e suadente, ha accompagnato pubblico e attori nel mondo della poesia. Alla destra di Paolo Rossi l’immancabile Emanuele dell’Aquila, l’eccellente chitarrista e spalla comica che abbiamo incontrato anche in molte altre produzioni del giullare che molti considerano erede di Dario Fo.
Il marchio Rossi non tradisce mai, come sempre ha dimostrato di essere uno dei più grandi comici italiani e ci dispiace che, tra i numerosi artisti emergenti, siano in pochi quelli in grado di succedergli. Lo show è stato un vero successo.