Questa è un'esperienza.
E se questo è quello che si vorrebbe da ogni lettura degna di questo nome, il lettore abituale sa che all'atto pratico questo non si verifica poi così sovente. Così, quando capita di imbattersi nel libro che fa vibrare le corde giuste, è piacevole lasciarsi andare a una specie di sensazione estatica, come di avere avuto il privilegio di aver assistito a un piccolo, inaspettato miracolo dell'arte letteraria. Ebbene, nel caso di quest'opera ciò è evidente fin da subito, perché Sangue di cane di Veronica Tomassini, primo titolo del neonato Laurana Editore, è qualcosa di potente come raramente accade di pescare in giro per gli scaffali, anzi, oserei dire di prepotente, perché per quanto tu tenti di opporre resistenza, lui ti prende (e non per mano, bensì per la gola, lo stomaco e il cuore) e ti trascina giù nei suoi abissi oscuri e ti costringe a viverli fino in fondo con la stessa disperazione dei suoi protagonisti.
Due persone. Un uomo e una donna. Due popoli. Italiani e polacchi. Una città. Siracusa. E un Amore. Il loro. Anzi il suo. Quello di lei. Talmente incondizionato, supremo, sconfinato, essenziale e indispensabile da sopravvivere allo sgomento di un viaggio negli inferi della vodka, della prostituzione, del vagabondaggio, del disadattamento alla vita, come una malattia cronica - o addirittura genetica - di un essere umano, ma forse anche di un intero popolo, che nelle quotidiane difficoltà di un'immigrazione più subìta che scelta, è incapace di percorrere la strada della normalità per più di qualche giorno.
A rendere ancora più forte l'impatto emotivo sul lettore, è il punto di vista della narrazione, proprio quello della protagonista, perfetto per dipingere tutta l'intensità dell'esperienza soggettiva, come una memoria vivida, e dunque con le stesse modalità del ricordo che non sempre segue la linearità del tempo, ma che ha presente in ogni istante (e per questo a ogni parola lo restituisce) la furia e la vivacità dell'intero quadro d'insieme. Questo - va detto - a volte penalizza un po' la comprensione alla prima lettura, soprattutto nelle prime pagine, ma queste sono solo le sue mani che vi stanno prendendo per il bavero e stanno portandovi là sotto con lei. Quindi lasciateglielo fare, non ve ne pentirete.
L'incipit:
Marcin era morto. Io avevo i pidocchi. Cioè successe nello stesso momento, Marcin cagava sangue, stava morendo, beveva e cagava sangue. Io invece avevo prurito ovunque, dietro la nuca soprattutto. "C'hai la rogna", mi diceva Tano, il pescatore, l'amico di Ivona. Ma Ivona stava con Marcin e Marcin stava morendo perché cagava sangue.Per saperne di più:
Io stavo con Slawek, Slawek Raczinski di Radom, Polonia. Mi ci portò Slawek in quel posto di merda, una casa a due piani, zona residenziale, bordello con mignotte dell'est, cuscini a forma di cuore, camere personalizzate, condom personalizzati, fellatio personalizzate. I pidocchi li presi prima comunque.
Ero una ragazzina nei modi, e forse anche una donna. Perché avevo ventidue anni. Statura media, carina, sguardo acquoso, gambe fragilina, magre troppo magre, taglia seconda di reggiseno. Capelli lunghi. Scuri. Graziosi. Italiana. Di Siracusa.
Stavo con un polacco di nome Slawek, professione: semaforista.
>Breve storia sulla "travagliata" pubblicazione del libro, su Vibrisse di Giulio Mozzi.
>Bellissima recensione di Francesca Matteoni con un altro estratto del libro, su Nazione Indiana.
Sangue di cane, di Veronica Tomassini (Laurana Editore)