Magazine Diario personale

L’amore normale

Creato il 16 maggio 2014 da Povna @povna

Molto al volo, perché, come ha già spiegato, maggio è maggio; perché il tempo da dedicare alla scuola è molto e – tra l’idillio coi Merry Men, il mutismo degli Anatri, e le Giovani Marmotte che sono tanto belline, e crescono – per il resto ne rimane poco scarso. Perché quel poco è preso dalle chiacchiere con Calvin (che la aggiorna, le racconta che si candida e per la sua nipote G. le regala anche un gattino); perché c’è anche quello per gli ingegneri, che resta in sordina, ma costante (e, per non sapere né leggere né scrivere, la ‘povna aiuta Esagono a preparare il progetto degli stages); perché, tra cene, uscite, piscine e qualche cinema (per esempio: questo, bisognerà parlarne) a casa ci passa spesso di volata, e per lo più corregge compiti. Perché lo sceneggiatore manda messaggi belli e buffi, e quest’anno va così.
Però di questo libro voleva parlare già da tempo. L’ha letto con viva curiosità, per una serie di motivi personali e biografici, ma anche con curiosità letteraria molto schietta. Alla fine, il giudizio è ancipite, ma lo stile è talmente pieno e tondo (sì, è la trama che alla fine un poco scricchiola), curato, compiaciuto senza essere pesante, che vale la pena di provare.

Parte bene, L’amore normale di Alessandra Sarchi, un po’ Updike ma soprattutto Julian Barnes (Talking It Over e Love, etc.), tanta consapevolezza di Giddens e Bauman, quel po’ di Houellebecq preso giustamente alla leggera. Una scrittura molto fine, ai limiti del calligrafico (si vede, in sottofondo, la storia dell’arte), ma intelligente abbastanza da non voler mai strabordare.
Finisce peggio, però, come era forse inevitabile. Sospeso (e di nuovo di fronte all’arte), senza finale e dunque senza scelte (ciò che sembra contraddire tutto l’impianto forte della narrazione). E’ la seconda parte, che scricchiola, là dove la dinamica dell’amore si fa esperimento del terzo millennio (con un occhio, ma anche critico, alla comune anni Settanta). Perché a quel punto pare quasi che l’autrice voglia negare, in maniera perentoria e onnisciente, quel finale di ricomposizione al quale tutti gli elementi della trama intrecciati fino a allora insensibilmente tendono. E dunque due personaggi vanno fuori psicologia, clamorosamente. E passi per Violetta, la figlia adolescente (e però l’errore è grosso, e l’effetto è un effettaccio); ma il cambio di prospettiva di Laura, personaggio protagonista, regista dell’intera vicenda è di quelli difficili, narrativamente, da accettare.
Finisce così, in levare. Ed è voluto ma ha il sapore di un avvitamento della narrazione su se stessa.
Quasi che parlare di amore in modi nuovi e diversi, in Italia, significhi sempre non riuscire a evitare, se pure in lontananza, lo spettro di Muccino.

Ed è così che, sul filo del rasoio, la ‘povna partecipa al venerdì del libro di Homemademamma.


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