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La trama del matrimonio

Creato il 19 novembre 2011 da Povna @povna

La ‘povna lo ha letto nei giorni scorsi, in contemporanea con alcuni web-amici. Siccome lo trova un romanzo molto, molto interessante, decide di parlarne qui un po’ più approfonditamente, rispondendo a una richiesta della Teacher.
La trama del matrimonio, ovvero: ridiscutere Cavell nel XXI secolo. Già dal titolo, infatti, il romanzo di Eugenides evoca quello da famoso saggio del filosofo statunitense. Lì Cavell, sulla base dell’analisi di una serie di note commedie sentimentali hollywoodiane, postulava la categoria del “rimatrimonio” (i.e. la necessità di considerare l’unione finale di una coppia non come soddisfazione dei propri bisogni, ma come esame e trasformazione degli stessi) come filosoficamente essenziale a capire esigenze e statuti profondi della nuova società. Eugenides sicuramente, come un bravo scolaro, ha letto la bibliografia di riferimento, tutta (significativo a questo proposito che, tra la montagna di citazioni colte: strutturaliste, post strutturaliste e oltre, manchi proprio il libro di Cavell, pubblicato in USA esattamente l’anno precedente a quello in cui i protagonisti del romanzo si laureano, e dunque le vicende sono ambientate). E si diverte a mettere in scena un piccolo teorema sub specie romanzesca, nel quale i vertici del suo tradizionale triangolo (e qui è anche Girard a fare capolino, con il suo desiderio mimetico) – dopo essersi incontrati e scontrati durante gli anni di college (qualcosa che il lettore potrà vedere però solo a sprazzi, sotto forma di flashback) – affrontano, una volta fuori, la ‘vita vera’, sulla base (ma anche no) delle informazioni che hanno appreso all’università, e dimostrando, in soldoni, che la lettura, tutta quanta, può fornire (è ovvio) conoscenza, ma si rivela parecchio manchevole nel campo dell’Educazione sentimentale. La citazione di Flaubert non è casuale, perché i personaggi del romanzo, in fondo, sono tutti dei piccoli Frederic Moreau degli anni Ottanta, ai quali il primo assaggio di esistenza al di fuori di mura dorate e protette consegna una maturità diversa, e una sorta di cinica, rassegnata, o perplessa consapevolezza flaubertiana.
Attraverso una serie di punti di vista incrociati – come è quasi d’obbligo oggi nel romanzo americano (pensiamo a Franzen – ma il modello più remoto, e intrinsecamente British, fa pensare forse al Julian Barnes di Talking It Over e Love, etc.) – ma non necessariamente divisi precisamente in parti, i tre protagonisti (Madeleine, Leonard, Mitchell) dipanano la loro trama di vita alla ricerca di ciò che desiderano per realizzarsi (e qui il pensiero corre anche a Brooks e a Reading for the Plot), ancora sufficientemente incerti tra realizzazione nel lavoro, crisi religiose e mistiche, storie d’amore. Madeleine, l’unico personaggio femminile della generazione giovane ad avere profondità, è al centro del triangolo amoroso-sentimentale, ed è colei che – credendo ciecamente nell’amore vittoriano e romantico – imposta più o meno inconsapevolmente i rapporti in termini di sentimenti, legami e (appunto) amore. Ma anche gli altri due si muovono continuamente tra luoghi comuni ed entusiasmi, che la trama del romanzo (cui presiede un narratore forte e onnisciente) – che può essere, ma anche no, quella di una realizzazione (sentimentale, mistica, morale) linearmente teleologica – si prende cura di decostruire con pazienza, come tanti cliché, uno per uno. Alla fine, l’unica cosa che resta come forma di sostanza è la malattia mentale di Leonard, invalicabile, nonostante il protagonista stesso cerchi di trattarla come un’opportunità esistenziale. E la fine della trama, volutamente rapida, un po’ sconclusionata, un po’ incongrua, ci riconsegna dei personaggi di nuovo sulla soglia, che, dopo aver provato sperimentalmente la fallibilità delle certezze intellettuali post-laurea, sono pronti a ripartire in direzioni finalmente ignote e altre, uno per uno.


Filed under: cultura Tagged: letteratura, libri

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